È passato quasi un anno da quando è stata depositata al Senato la proposta di legge sul salario minimo ma solo adesso si sono accesi i riflettori sul tema e il dibattito sembra essere entrato maggiormente nel vivo. Dopo la sconfitta elettorale alle europee il movimento 5stelle probabilmente intende tornare alle origini delle loro battaglie sociali e sta imprimendo una forte accelerata al provvedimento. In questi ultimi giorni si sono susseguite decine di dichiarazioni della politica e del mondo associativo e imprenditoriale: quelle contrarie sono arrivate dalle associazioni di imprese ma anche, cosa che ha stupito maggiormente, dal mondo sindacale. Il segretario Landini ha detto che la paga oraria è importante ma che è rischioso affrontare il tema come se i contratti nazionali non esistessero, quando invece tutti stabiliscono dei minimi orari. Meglio regolare la questione – ha detto – estendendo “al 100 per cento” la copertura dei contratti nazionali. Confindustria, invece, per voce del vicepresidente per il lavoro Maurizio Stirpe, ha affermato che il salario minimo non è la soluzione efficace per aumentare i salari e che una sua introduzione metterebbe a rischio i lavoratori per una possibile fuga dai contratti. L’unico modo per elevare i salari dei lavoratori italiani è riducendo le tasse e i contributi, il cuneo fiscale, e detassare i premi di produzione. La banale differenza è che il salario minimo grava tutto sull’impresa – 6 miliardi di aggravio secondo Confcommercio e 4 miliardi secondo l’Istat – mentre la riduzione del cuneo fiscale è un minor gettito per lo Stato. Ma cosa ci dice la proposta di legge su questi temi più controversi? Per esempio la relazione tra salario minimo e contratti collettivi esistenti e cosa è ricompreso dentro i 9 euro. Il testo non specifica ad esempio se il tfr o i ratei delle ferie sono inclusi o meno. La cifra è al lordo degli oneri retributivi e previdenziali. La legge Catalfo – che prende nome dalla senatrice 5stelle – parte da un dato Eurostat: il fenomeno dei working poors è in crescita e l’11,7 per cento dei lavoratori in Italia riceve un salario inferiore ai minimi contrattuali fissati dalla contrattazione collettiva. E individua nella fissazione legislativa dei minimi salariali la soluzione più idonea. Già nella precedente legislatura, la vecchia maggioranza aveva fatto una proposta di introduzione di un compenso orario minimo ma da applicarsi solamente nei settori non regolati da contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni più rappresentative, escludendo da questi i numerosi contratti pirata. Ancora nel gennaio 2016 i sindacati, nella sigla di un documento congiunto, chiedevano un intervento legislativo ma per l’esigibilità universale dei minimi salariali definiti dai contratti collettivi, da estenderli anche agli altri contratti. Mai prima d’ora, però, la proposta era svincolata dal considerare come faro i Ccnl. Infatti la proposta di un minimo di 9 euro lordi sarebbe da applicarsi a qualsiasi lavoratore, anche quelli che già hanno un salario minimo definito nel contratto che per alcune categorie in ingresso è inferiore a questa soglia. Tra questi troviamo i settori delle pulizie, del tessile o i metalmeccanici. Si legge poi che “sono fatti salvi i Ccnl nazionali e territoriali vigenti fino alla loro scadenza”. Quindi la partita del salario minimo avrà una rilevanza importante anche sulla contrattazione tra imprese e sindacati per i rinnovi dei molti contratti in scadenza nel 2019.