Partiti più “liquefatti” del sangue di S. Gennaro

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in foto Giuseppe Conte e Luigi Di Maio

Riproponiamo l’articolo di Ermanno Corsi apparso sul Roma di martedì 21 giugno all’interno della rubrica “Spigolature”.

di Ermanno Corsi

Nessuna mancanza di rispetto per il patrono di Napoli (tale dal 305),ma solo per riprendere una calzante espressione di Vittorio Del Tufo con la quale non si intende sicuramente di venir meno al proverbio medievale che raccomandava di “scherzare coi fanti e lascare stare i santi” (la materia sacra è di per sé intoccabile), ma solo sintetizzare lo stato di confuso sfarinamento della rappresentanza politica napoletano-campana nel contesto nazionale (conseguenze immancabili per tutto il Mezzogiorno, come del resto è “innaturalmente” ovvio). Mai così presente il Sud alla Camera e al Senato quanto a numeri. Il solo M5S con le Politiche del 2018 aveva portato a Montecitorio e a Palazzo Madama ben 339 rappresentanti (su 945) quasi tutti eletti nei collegi meridionali. Da allora si ritrovano in 110 in meno (cambi opportunistici di casacca, tradimenti per conflitto di interessi, ricollocazione più favorevole alla rielezione).

UN DESTINO DI IRRILEVANZA. Sembra questa la strada che resta ai Pentastellati: corta, rissosa fino all’insulto personale, amara per tutti loro. Nati con il “Vaffa” di Peppe Grillo -commediante, istrione ma trascinatore catalizzante di voti- si sono ritrovati fra le mani un potere del tutto sproporzionato rispetto a capacità e cultura di governo. Ora sono in tre (Conte, Fico, Di Maio) a dividersi furiosamente quello che resta del movimento. Foggiano di Volturara, l’ex premier non s’aspettava la debacle alle recenti amministrative. Riadattando, con variante, Ugo Foscolo al suo caso si potrebbe dire che “sol chi non lascia eredità di affetti” poca gioia ha nelle urne elettorali… Meglio è invece andata, al trumpiano “Giuseppi”, in Tribunale a Napoli visto che (giudice Loredana Ferrara) gli è stata “sospesa la sospensione” da presidente del partito (mentre resta aperto il giudizio di merito). Reindossato l’abito del “capo”, si è sùbito lanciato, forse con troppa foga dimenticando che è un piatto da consumarsi freddo, nella vendetta contro Di Maio.

GUERRA E TERZO MANDATO. Conte impugna due spade. La prima è l’aggressione della Russia all’Ucraina. Certo, a dar ragione platealmente a Putin non è mai arrivato, ma sotto sotto sì nella misura in cui continua a dire “niente più armi a Kiev” e “pace con l’azione diplomatica” mentre sullo Stato aggredito continuano la pioggia di missili a lungo raggio e gli efferati eccidi. E’ chiaro che, così, l’attuale ministro degli Esteri eletto nel collegio di Pomigliano, viene messo con le spalle al muro. Pronta una scissione per contrastare chi sta trasformando il movimento in una “forza politica dell’odio”? A parte il distacco dall’Unione Europea e dalla Nato, Conte impugna la seconda spada del “terzo mandato”. Se non viene approvato (anche Grillo dice no), Di Maio e lo stesso presidente della Camera Fico eletto a Napoli nel collegio di Fuorigrotta, non tornerebbero in Parlamento. Conte avrebbe così partita vinta (ma sulla sfiducia a Di Maio, o sua espulsione, si prende tempo). Conte asserisce che “i cittadini ci chiedono di uscire dal Governo Draghi”, mentre la capogruppo M5S nel Consiglio regionale campano, Valeria Ciarambino, sostiene che “il disallineamento dai nostri alleati non solo impedirebbe all’Italia di continuare ad avere un ruolo importante nella diplomazia, ma metterebbe a repentaglio la nostra stessa sicurezza”. Infastidito, taglia corto Peppe Grillo: ”E’ tutto uno psicodramma”.

A CIASCUNO UN CAMPO. Enrico Letta lo vuole “largo” per il suo Pd che, di regione in regione, mostra fisionomie molto differenziate. In Campania sempre aperta la crisi del segretario regionale. In pochi mesi via in tre: Umberto Del Basso De Caro, Gennaro Oliviero e Leo Annunziata (subito però riacciuffato e posto a capo della Scabec, la società nata per valorizzare il patrimonio culturale). Alleanza più stretta col M5S? Ma quale: contiano o dimaiano?

MELONI IN ALLARME. ”Io sono Giorgia” apre gli occhi. Intorno a sé non mancano ovviamente “nemici”. E i più pericolosi potrebbero essere proprio dentro il suo partito. Oltretutto, ora che ha staccato notevolmente Salvini, avverte come non tanto remoto perfino “il rischio che un matto mi possa uccidere…”.