di Ugo Righi
Sono seduto al tavolino del bar.
C’è poca gente e non posso fare a meno di cogliere un breve scambio tra una cliente, una signora anziana dell’aria piacevole, e la barista.
La giovane donna esprime paura, paura del virus e paura del vaccino, paura della solitudine e paura della gente.
Come tanti,la paura è un altro virus ce ha assunto una grottesca familiarità nella nostra quotidianità.
La signora, dopo averla ascoltata con attenzione, gli dà un consiglio e conclude con un sorriso: ”Vedrai che andrà bene se allontani la paura e cerchi avere un pensiero costruttivo, più ottimistico, il pessimista vede pericolo in ogni opportunità.
Non dico che si deve ignorare il pericolo e le difficoltà affrontarle con intelligenza quindi non aver paura della cura, ma della malattia”.
Penso come questa sconosciuta signora.
Bisogna evitare che la paura diventi la chiave di lettura di tutto e ripeto, essere costruttivi.
Come si riconosce la personalità ottimistica – costruttiva e quella pessimistico – distruttiva?
Il distruttivo pone l’accento su quello che manca e che impedisce il fare, mentre il costruttivo evidenzia quello che c’è e su ciò che può essere conseguito.
Attenzione: spesso quello che il pessimista distruttivo vede sono cose vere: vere difficoltà, veri vincoli insomma.
I problemi e i limiti che indica non sono frutto di una sua fantasia: sono reali. Ma il punto chiave è che proprio perché vede solo o prevalentemente, quello che manca, lui diventa il principale alimentatore di ciò di cui si lamenta.
È questo il grande paradosso: “Ti lamenti di ciò che contribuisci a far crescere: quello che impedisce la soluzione”
Il distruttivo, in generale, spiega perché non riesce a fare quello che si dovrebbe fare e, anzi, tenta di renderlo addirittura plausibile proprio attraverso la sua ricerca di argomentazioni che sorreggano la sua posizione.
Mentre il costruttivo cerca di darsi da fare per trovare spazi e azione. Sempre Einstein diceva che bisogna calcolare il peso dei problemi al lordo, noi compresi, perché è chiaro che la personalità ottimista o quella pessimista non producono gli stessi risultati nell’affrontare le cose e i problemi e le relazioni con altri. Quindi, oltre la percezione ripeto, è importante capire cosa stiamo facendo, perché essere ottimisti, non significa ignorare le difficoltà o le sfide della vita, ma vuole dire affrontarle in modo diverso.
L’ottimista costruttivo non pensa semplicemente che le cose andranno meglio, ma considera se stesso e i propri comportamenti decisivi per ottenere risultati di valore.
Utilizzando ancora la frase di Einstein, possiamo aggiungere che oltre del problema, noi facciamo parte anche della soluzione.
L’ottimismo e il pessimismo, come altri stati emotivi, sono contagiosi.
Pensate a un allenatore sportivo pessimista, o a un ricercatore o a qualsiasi persona che sia, per ruolo sociale o organizzativo, alla guida di persone e debba influenzare i loro comportamenti.
Pensate a quanto, pur non essendo qualcosa di concreto, lui determini con il suo stato d’animo, risultati concreti.
Il vero ottimismo non è cieco, quando è così, è altrettanto dannoso del pessimismo, perché può far pensare che non possa mai accadere niente di pericoloso o di brutto e genera una sicurezza ingenua, eccessiva, che mette in pericolo e prepara per forza la delusione.
La consapevolezza è un elemento fondamentale, perché ci permette di accettare le nostre emozioni nel momento in cui le viviamo, sapendole giudicare con obiettività e riuscendo anche a controllarle e fa sorgere la fiducia controllata.
La fiducia ha la funzione di riduttore della complessità e la sfiducia invece l’aumenta. Ma lo sappiamo:la fiducia è sempre un investimento a rischio, non si basa su informazioni sicure al cento per cento,è una miscela di conoscenza e ignoranza che avviene in un contesto non completamente prevedibile.
Ma so che se non faccio nulla sono sicuro che le cose non possono che peggiorare mentre se agisco ho la speranza. Occorre però partire dall’ipotesi che il sistema che ti chiede di fidarti sia affidabile ovvero è che funzioni.
Questo è il passaggio chiave: una fiducia nel sistema rinunciando alla possibilità di controllare ( non potendolo fare) personalmente la validità dei processi messi in atto.
Non deve vincere la paura altrimenti la fine è nota, occorre rischiare la fiducia, è meno cara che rischiare la sfiducia.