Roma, 19 lug. (AdnKronos Salute) – Se i pazienti che devono affrontare un tumore “si rivolgono così spesso a ‘dottor Google’ e vanno dallo ‘sciamano’ di turno, che cura con noci o con le bucce di limone, la colpa è anche un po’ nostra, di chi fa parte del sistema sanitario e non dedica abbastanza ascolto e tempo al malato”. E’ il ‘mea culpa’ di Gabriella Pravettoni, direttore della Psiconcologia dell’Istituto europeo (Ieo) di Milano che oggi ha partecipato alla presentazione del ‘Manifesto per l’umanizzazione delle cure in oncologia’, presentato oggi, al Palazzo dell’Informazione dell’Adnkronos, dalla Merck.
“Credo – ha detto l’esperta – che ci sia un bisogno particolare, in questo periodo, di un’informazione e una comunicazione efficace, importante per tutti i nostri pazienti. Se i malati non hanno risposte chiare le cercano su Internet e sui forum dove, il più delle volte, a fornirle sono persone non competenti. Come professionista che fa parte del sistema sanitario faccio autocritica. Credo che nel ‘successo’ di cure non validate ci sia anche una colpa di chi, operando in sanità, non dedica sufficiente tempo ai pazienti. Perché il bisogno fondamentale del paziente è quello di sentirsi ascoltato. Quando manca la dimensione dell’ascolto, quando la comunicazione non è efficace le persone, purtroppo, si rivolgono altrove”.
Per Francesco De Lorenzo, presidente della Favo (Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia), rappresentante dei pazienti, il problema è anche legato all’organizzazione. E le informazioni che mancano sono soprattutto quelle pratiche. “I malati vogliono risposte concrete – ha spiegato – una presa in carico e un accompagnamento reale: dove fare l’esame, sapere di avere diritto all’esenzione, avere visite e controlli programmati. Nelle rare realtà regionali che hanno sperimentato forme di accoglienza dei pazienti, accompagnati e indirizzati nelle fasi della cura, la differenza è evidente. Umanizzazione delle cure, per i pazienti, significa cominciare a prestare attenzione alla persona malata al momento dell’accoglienza. Il malato deve sapere, dopo la diagnosi, il percorso che deve seguire, dove deve andare e da chi deve essere accompagnato. Così come deve intervenire il contatto diretto dell’oncologo per l’informazione. Il volontariato ha saputo dare risposta a questi vari passaggi negli anni”.