Perché ti ho perduto, i tormenti di una poetessa. Tra dolore e follia: Vincenza Alfano evoca i fantasmi di Alda Merini

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di Fiorella Franchini

La vita di Alda Merini è stata unica, costellata di dolore e immensa umanità. L’intensità emotiva, i bagliori della sua poesia continuano ad affascinare un pubblico vasto che si riconosce in quell’inquietudine mai sopita, in quel sapore amaro della vita attraversata senza rinunciare a una dignità profonda. Vincenza Alfano ripercorre alcuni momenti dell’esistenza di Alda e li racchiude nel racconto Perché ti ho perduto, Giulio Perrone Editore. L’autrice rielabora letterariamente la sua biografia, i versi, gli studi di cui è stata protagonista, intessendo una trama coinvolgente di sentimenti, di turbamenti, di pensieri, quelli che hanno attraversato l’anima della poetessa dei navigli. Un percorso tormentato che parte dall’infanzia, segnata dalla guerra, prosegue con la fanciullezza inquieta durante la quale scopre l’amore, continua fino ai periodi più bui trascorsi in manicomio. Unico filo conduttore la poesia, versi graffiati su brandelli di carta o scritti nel cuore, scolpiti come preziose miniature.
Rivelazione del Cenacolo di Giacomo Spagnoletti, Alda divenne l’amante di Giorgio Manganelli, sposato, con una famiglia, al quale donò tutta se stessa, pur sapendo di andare incontro alla sofferenza, a un’angoscia che si alimentava con la lontananza, che svaniva a ogni incontro. Quando Manganelli decise di allontanarla, la giovane provò ad aggrapparsi al matrimonio con Ettore Camiti con il quale ebbe quattro figlie. Tuttavia, la normalità non le apparteneva e il suo spirito libero cominciò a perdersi sempre più spesso in quell’amore mai dimenticato, nei versi rubati al tempo. Per tutti Alda divenne folle e fu internata. Cadde e si rialzò, sempre sostenuta dalla poesia e da una lucidità della coscienza che non l’abbandonò mai.
Lo stile ricercato e le invenzioni creative di Vincenza Alfano, quasi fossero un congegno tecnologico, trascinano il lettore dentro l’abisso della Merini, le parole arricchiscono la percezione sensoriale, creando una realtà aumentata. La narrazione si trasforma in una sorta di esperienza immersiva e, mentre tratteniamo il fiato, pare di sentirle, di provarle quelle sensazioni, quelle emozioni, in tutta la loro vitalità. Prendono forma nel nostro mondo interiore la sofferenza di Alda e del suo alter ego Celeste, il dolore fisico e i tormenti della follia, sprofondiamo con lei nella voragine del suo malessere e nei tormenti di una passione inestinguibile.
Complicato è il dolore dell’anima, apparentemente così friabile e così fragile da non reggere il confronto col dolore del corpo, ma che invece può non finire mai e può condurre a un lacerarsi perpetuo, a una nostalgia pungente e alla ricerca della morte. Le pagine dell’Alfano sono un lungo colloquio tra Alda e le sue ombre, la sola strada che le consente di alleggerire la solitudine in cui precipita quando la malattia, la sventura, l’infelicità scendono su di lei. Nelle parole trova il coraggio, la resistenza al male, la solidarietà, la responsabilità, la grazia, la passione della speranza. La poesia diventa grido muto, l’aiuta a riconoscere la fragilità e l’umanità della follia, a lenire l’umiliazione delle ferite e il patimento dell’amore perduto, a gridare la gioia della vita. La scrittura densa e fluida di Vincenza Alfano ci restituisce un’esperienza realistica in cui la letteratura si fa vocabolo, espressione, discorso per evocare il microcosmo intricato di uno spirito dolente e guerriero, i silenzi e le vertigini, tutto l’inesprimibile, il senso stesso dello scrivere. E’ un maglio che frantuma le certezze del sentire; dopo l’ultima pagina nulla dentro di noi potrà essere come prima.