Picasso e il Mann: Manca l’interpretazione

171

Se Parigi val bene una messa, il Mann merita sempre una visita. Quando in esposizione, poi, ci sono le opere di Picasso, ed il tema è il confronto tra queste e le antiche vestigia che le hanno ispirate, allora la storica frase pronunciata da  Enrico di Navarra può essere citata senza esitazione.

Quarantatrè le opere in mostra, messe a confronto principalmente con le sculture Farnese e con i dipinti provenienti da Pompei. Prevedibile un esposizione da brividi, roba da cuori forti. L’incontro tra il grande pittore e l‘antichità, a Napoli e a Pompei, segnò la svolta naturalistica dell’artista, il cosiddetto «secondo periodo classico». Picasso conobbe il Museo Nazionale di Napoli. Oggi esso è diventato Museo Archeologico Nazionale, il MANN. Innegabile l‘iniziale curiosità di rintracciare gli ambienti illustrati dalle foto nell’attuale disposizione spaziale del MANN. Nelle bacheche non ci sono riferimenti planimetrici o colori per collegare i moderni ambienti con quelli del tempo che fu. La signora che gira intorno alle fotografie esposte, sussurra alla sua accompagnatrice che in fondo sarebbe bastato un banale cartello con la fatidica freccetta che indica il voi siete qui.

Lo scopo della visita è però l’opera di Picasso e l’influenza che le opere dell’antichità ebbero su di esse. Sono in esposizione alcune delle stampe che compongono la Suite Vollard, destinata dall’artista ad un pubblico d’esperti. Esse sono a confronto con reperti provenienti da Pompei ed opere presenti già nel Museo Nazionale e che Picasso ebbe modo di osservare.  Picasso era stato molto colpito dal gigantismo e monumentalità di sculture come  l’Ercole Farnese. Guardare con attenzione alcuni tratti fisici nelle sue rappresentazioni, prego. Il cartellone esplicativo suggerisce al visitatore di confrontare la statua con la serie d’incisioni che fano parte della raccolta “Studio dello scultore”. Lo scultore è Picasso stesso, e in alcuni tratti della testa e del suo volto sono rintracciabili i tratti del volto della statua ellenistica. La caccia al particolare è aperta.  Il visitatore volenteroso ed attento sI sposta continuamente dalla statua antica alle stampe della serie dedicata. La prova però presenta alcuni asterischi di difficoltà: l’allestimento ha disposto ogni opera all’interno di un prisma trapezoidale. Per cercare di leggere i sottili segni della tecnica incisoria a puntasecca, bisogna spingere la testa quasi all’interno della strutturina; ritracciare nei tratti stanchi dell’eroe che ha appena finito di reggere il globo sulle spalle, i tratti del volto del pensieroso artista con cui Picasso si identifica, richiede  preparazione ed anche un tempo di riflessione per comprendere i meccanismi di rielaborazione dell’arte classica dell’artista.

Per il visitatore non esperto quindi, la visita si risolve nel solito giretto, più o meno attento e poi via verso le molte, tante altre sale del Museo. L’ora di pranzo di avvicina e c’è ancora tanto da vedere.

Il suonatore di flauto, nei disegni preparatori per la prima versione del flauto di Pan,  ha una particolare somiglianza con il Dafni del gruppo Farnese,  segnala la tavola illustratrice. Pronti, partenza, via. Scatta la seconda peregrinazione e altri visitatori oscillano tra le opere per rintracciarne i tratti somiglianti.   Tecnologia, deh. Eppure esisti. Evidenziare i particolari illustrati dai cartelloni sarebbe stato molto utile per una comprensione del rapporto di Picasso con le opere del mondo antico, e la base che esse hanno offerto a tutto il processo evolutivo dell’artista. Luci, colori, proiezioni e suoni. I cinque sensi, di cui l’essere umano è dotato, devono essere tutti sollecitati per concorrere alla formazione delle emozioni. Si osservino le foto che illustrano l’allestimento ottocentesco del Museo Nazionale di Napoli. vedute di sala con gruppi di oggetti, vetrine, tavoli bacheche, quadri affissi a muro, mobili. Diversi gli elementi e le disposizioni, ma, come recita la proprietà commutativa, cambiando l’ordine degli addendi la somma non cambia. C’est tout. Il terzetto canoro, un tempo andato, si sgolava: si può fare di più.