Plastica in mare, cosa succede

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Roma, 19 mar. – (AdnKronos) – Una bottiglia di plastica abbandonata in mare impiega 450 anni per degradarsi; un bicchiere di plastica ne richiede 50 e una busta tra i 10 e i 20. In attesa di fare luce sul mistero dei dischetti di plastica che stanno letteralmente invadendo le coste tirreniche, dalla Campania alla Toscana, quello che è certo è che, se non verranno raccolti e recuperati tutti, potrebbero rimanere nell’ecosistema per molti anni, tanti quanti ne richiede appunto la plastica a degradarsi.

Decenni, in alcuni casi secoli interi, da trascorrere in mare con tutti gli impatti che questi rifiuti hanno sulla biodiversità. Primo fra tutti l’ingestione: nel bacino del Mediterraneo oltre 180 specie marine, tra uccelli e mammiferi, organismi filtratori, pesci, specie planctoniche e tartarughe, scambiano la plastica per meduse o uova di pesce, cioè per cibo.

Le conseguenze sono letali, si va dalla malnutrizione alla morte per soffocamento, e comunque c’è l’esposizione alle sostanze tossiche contenute o adsorbite dalla plastica che comportano anche disturbi al sistema endocrino. E’ così che le particelle più piccole entrano nella catena alimentare.

Tra gli animali a rischio ci sono le tartarughe marine, in particolare la Caretta caretta. Per tutte e sette le specie conosciute di tartaruga marina è stata documentata l’ingestione o l’intrappolamento in rifiuti marini, rappresentati da plastica per circa il 90%. Il recente studio guidato dall’Università di Siena e condotto nel Tirreno settentrionale sulla Caretta caretta, documenta l’ingestione di rifiuti di plastica nel 71% degli individui per i quali è stato analizzato il tratto gastro intestinale.

In 22 campioni sono stati trovati 483 frammenti di rifiuti marini, con una media di oltre 16 pezzi a campione. Il 92% è plastica e di questi quasi tre quarti sono frammenti sottili che vengono probabilmente scambiati per meduse, di cui le tartarughe si nutrono.

Stando ai dati più recenti, riportati nell’ultimo report dell’Unep (“Marine litter assessment in the Mediterranean”, 2015), il 35% della fauna vittima di aggrovigliamento è rappresentato dagli uccelli marini, seguiti dai pesci (per il 27%), dagli invertebrati (20%), mammiferi marini (circa 13%) e rettili (5%).

I rifiuti più dannosi, in questo caso, sono gli attrezzi da pesca abbandonati o dispersi, responsabili del 72% degli aggrovigliamenti, in primis le lenze (ne causano il 65%), ma anche reti, cime, ami, esche, nasse e altri tipi di attrezzature. Le reti continuano ad essere trascinate dalle correnti anche dopo il loro abbandono e sono anche responsabili dei danni a diversi ecosistemi, tra cui quello bentonico o le barriere coralline.

E per tornare sul fronte della vicenda di queste ore, quella che riguarda i dischetti di plastica, un appello alla collaborazione arriva da Legambiente. “Stiamo pattugliando le spiagge sul versante tirrenico per capire la distribuzione del fenomeno grazie anche a centinaia di cittadini che ci stanno dando una mano e alle segnalazioni che arrivano dai nostri gruppi locali e circoli del versante tirrenico”, dice all’AdnKronos Serena Carpentieri, vice direttrice dell’associazione che invita tutti a “segnalare ritrovamenti, piccoli e grandi che siano, sulla pagina Facebook e sul sito del progetto Clean Sea Life ( http://cleansealife.it/)”.