Più di sette anni di crisi hanno messo a dura prova il tessuto produttivo meridionale, avviando però un processo di ristrutturazione che oggi rende il sistema delle PMI pronto a ripartire. La fotografia scattata sulle 27mila società di capitale meridionali che rientrano nei requisiti europei di PMI (10-250 addetti e fatturato compreso tra 2 e 50 milioni di euro) mostra con chiarezza i segni della crisi. Oltre un quarto delle 29mila attive nel 2007 è uscito dal mercato: un quarto delle 20mila imprese rimaste ha dovuto ridurre la propria taglia dimensionale, scendendo a micro-impresa. La crisi, oltre a innalzare i tassi di mortalità delle PMI meridionali, si è fatta sentire sulla natalità: fino al 2012 è infatti diminuito il numero di nuove imprese, si è fortemente ridotta la quota di newco in grado di stare sul mercato – solo il 45% delle nuove nate al Sud è ancora sul mercato a tre anni dalla nascita – e di quelle che nel giro di tre anni crescono fino a diventare una PMI. L’uscita in massa dal mercato delle PMI è stata accompagnata da conseguenze pesanti sui bilanci delle società sopravvissute alla crisi. Nel complesso, tra il 2007 e il 2013, i margini lordi delle imprese meridionali si sono ridotti del 38,6%, ben 7 punti in più della media nazionale: le imprese hanno reagito investendo capitale proprio in azienda, ma la redditività di questo capitale ha continuato lentamente a ridursi, toccando nel 2013 il livello più basso proprio al Sud: il ROE ante-imposte è stato pari solo al 2,1%, oltre 5 punti in meno del 2007. Gli oneri finanziari, a loro volta, sono calati, ma non abbastanza da compensare il calo dei margini. Nonostante questi dati sono oggi numerosi i segnali di una possibile inversione di tendenza.