Pmi fallite, Campania in controtendenza. Barbagallo: una su 10 si trova in Regione

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Quasi un’impresa su 10 di quelle che in Italia hanno chiuso i battenti dall’inizio dell’anno ad oggi si trova in Campania, che con 666 fallimenti e una media di 4,4 Pmi cessate ogni giorno (considerando solo le giornate lavorative), è la terza regione più colpita dalla crisi dopo Lombardia (prima con 1.513 casi) e Lazio (906 imprese). “Non solo: il dato risulta in aumento rispetto al 2014 (1.315 aziende chiuse nel corso dei 12 mesi), in controtendenza rispetto a quanto accade nel resto del Paese dove le imprese che hanno portato i libri in Tribunale sono calate di circa il 10 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno – rileva Carlo Barbagallo, ex presidente dei Giovani di Confindustria Campania e amministratore unico di Cofiba, società leader nella bonifica ambientale -. Una lettura attenta dei dati diffusi da Cribis D&B mostra come per le aziende campane i tanto attesi spiragli di ripresa ancora non si vedono”. Una situazione sulla quale “incidono in maniera determinante i ritardi dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione che lo scorso anno sono costati alle imprese di Terra Felix 196 milioni di euro di maggiori oneri. L’Italia – aggiunge Barbagallo – è l’unico paese in cui le imprese falliscono non per i debiti accumulati ma per i crediti vantati nei confronti dello Stato”. Quante aziende sono costrette a chiudere a causa di una pubblica amministrazione lumaca? “Circa un’impresa su tre – dice l’ex numero uno degli under 40 – per lo più appartenente ai settori delle costruzioni e del commercio. Senza contare che un quarto delle Pmi che nel 2014 ha lavorato per gli enti pubblici ha subito anche restrizioni dalle banche. Per questo occorre fare passi avanti rispetto alle promesse degli ultimi Governi”. Del resto, i numeri parlano da soli: “666 fallimenti nei primi sei mesi dell’anno e quasi 7mila chiusure dal primo gennaio 2009 in Campania sono il segno evidente di una crisi senza precedenti dalla quale, nonostante la politica degli annunci, non si riesce a venire fuori”.