Venerdì è stata una giornata densa di avvenimenti, dentro e fuori i patrii confini.
Può tornare utile provare a verificare se esista qualcosa che accomuna, rendendoli così più comprensibili, gli avvenimenti, sia positivi che negativi, che hanno preso forma durante la settimana c appena conclusa. Posto questo obiettivo, da tentare di verificare anche in concreto, si può prendere spunto da un ragionamento del Presidente Mattarella. Precisamente da quello che ha voluto condividere con i partecipanti alla Conferenza delle Camere di commercio svoltasi venerdì a Firenze. Con tono fermo ma senza spunti polemici. Il Primo Cittadino, citando un’ espressione di De Gasperi, ha invitato gli italiani e ancor più i loro rappresentanti in parlamento, a “mettersi sotto la stanga”. Quindi non limitandosi a usare il pungolo, ma mettendo, ora che occorre più che mai, la spalla sotto il carro su cui viaggia la ripresa, in particolare l’attuazione del Pnrr. Non è superfluo aggiungere che la platea a cui si è rivolto non poteva essere più adatta, essendo costituita dai rappresentanti delle Camere di Commercio, Industria, Agricoltura e Artigianato, semplicemente la longa manus del Ministero dell’Industria nelle realtà provinciali. De Gasperi mutuò tal quale quell’immagine dal linguaggio contadino del Paese da poco uscito dalla guerra, ancora a vocazione prettamente agricola. Volle così riferirsi a un lavoro duro quale è quello dei buoi, che, unita al giogo che li unisce, tirano la stanga, ovvero l’asse di legno che così li collega tanto a un carro, quanto a un aratro. Sicuramente il Capo dello Stato ha pesato più volte quella espressione. Probabilmente avrà avuto conferma che fosse la più indicata dalla constatazione che la condizione in cui attualmente versa l’ Italia ha molta attinenza con quella postbellica. In più, la ricostruzione in atto differisce da quella della seconda metà del secolo scorso, solo perché la distruzione in senso lato non è stata causata dai bombardamenti. Una differenza marcata rispetto a quanto è accaduto all’incirca settanta anni fa consiste nel fatto che allora, come prima accennato, il Paese era vocato all’agricoltura, oggi è tra i primi più industrializzati del mondo. Ciò che conta é che gli impegni presi, con chiunque e di qualsiasi genere, vengano rispettati e tanto vale a maggior ragione per il Pnrr. La sua attuazione è in notevole ritardo e i primi che rischiano di subire le conseguenze di eventuali inadempienze sono gli italiani. Potrebbero essere bersaglio di una politica fiscale straordinaria, che è l’ultima cosa di cui gli stessi avvertono la mancanza. Andando avanti con considerazioni dello stesso genere, ma spostando l’ attenzione alle questioni economiche, quanto è successo ieri in Europa nel campo della finanza è più che preoccupante e merita anche esso un richiamo all’ordine dei protagonisti. Il temuto e esorcizzato pericolo che le disavventure bancarie di qua e di là dell’Atlantico, già in precedenza prese in considerazione, avrebbero potuto contagiare il sistema creditizio della EU, ha già dato segno di se con una modalità definibile quanto meno bizzarra. Ancora una volta il catalizzatore di tutto è stata qualcosa di immateriale che vale molto ma non è in commercio:la fiducia. Questi i fatti. Due piccole banche tedesche, illustri sconosciute, avvicinandosi le scadenze, hanno deciso di convertire quei titoli in arrivo alla fine del loro corso naturale in obbligazioni perpetue, un eufemismo per non sollevare il velo che copre i prestiti irredimibili contratti dallo stato, durante la guerra e il periodo immediatamente successivo. Negli intenti delle alte sfere di quei due mini istituti ci sarà stato sicuramente l’ intento di rafforzare la fidelizzazione della propria clientela. Fin qui si è trattato di fatti abbastanza circoscritti, in quanto verificatisi in circuiti finanziari minori nonché di importi alti quanto basta.Ciò che ha portato forte turbamento nelle contrattazioni di borsa in Europa e nel mondo è stata un’ operazione attuata da Deutsche Bank, prima banca tedesca e colosso a livello mondiale. Il suo vertice, pensando che in tal modo avrebbe inviato alla clientela e ai mercati un segnale, seppur generico, di buona salute, ha deciso di rimborsare anticipatamente alcuni suoi titoli. Colpevole il panico che negli ultimi giorni ha fatto breccia nell’ animo dei risparmiatori, questi stessi hanno creduto che quel comportamento potesse essere un segnale di pericolo e quindi giù a capofitto a liberarsi dei titoli di quella banca. Il particolare che lascia più attoniti è che, quando si decide di fare quel tipo di transazioni, a prezzo vile o poco più, si finisce per comportarsi, in maniera errata. Come succede a quei contadini che, ancora oggi, seguono il vecchio detto che invita a vendere qualsiasi cosa quando il mercato è “in furia”, cioè agitato e, nello stesso frangente, a non comprare nulla. Tutto quanto appena scritto porta malauguratamente a dedurre che il più che temuto contagio da panico sia già entrato nel sistema bancario europeo. Preoccupa ancor più che sia partito dall’ alto, cioè da una banca operante dovunque o quasi sul pianeta. Tutto è successo dopo una settimana borsistica al cardiopalma che ha lasciato sul campo molti punti di capitalizzazione. Che la finanza internazionale debba quindi prepararsi a affrontare la partita di ritorno con un caso simile a quello della Lehman Brothers, al momento non sembra averne le premesse. Che il risultato possa avere le stesse conseguenze negative, accresciute se possibile, é invece sufficientemente credibile. Ancora una volta l’augurio è che ciò non avvenga, altrimenti la speculazione, in particolare quella finanziaria, darebbe un segnale forte e chiaro di quanto possa essere pericoloso un suo uso disinvolto. Quanto inoltre è più sconfortante, è che, ancora una volta e con incomprensibile faciloneria, queste vicende saranno presto dimenticate. Come se non bastasse, continueranno a operare quanti vendono impunemente aria fritta ben confezionata. Eppure non occorre un grande sforzo per realizzare che quanto venduto fraudolentemente da quei ciarlatani differisce poco o niente dal gioco delle tre carte. Praticato in prevalenza a Napoli, ormai è radicato dappertutto.