Politica fiscale e ceto medio: il nodo irrisolto in Italia

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in foto Gennaro Nunziato

di Gennaro Nunziato, Segretario CAT Napoli

Il dibattito politico e sindacale italiano si concentra da anni sul destino del cosiddetto “ceto medio”, fascia di contribuenti che sostiene gran parte della spesa pubblica senza godere, tuttavia, di adeguati benefici. I dati più recenti mostrano una realtà ormai strutturale: poco più del 7% dei contribuenti italiani, con redditi superiori a 50mila euro, versa quasi la metà del gettito Irpef.

Questa configurazione, che deriva da un sistema progressivo fortemente sbilanciato, produce effetti distorsivi. La maggioranza dei cittadini, titolare di redditi medio-bassi, contribuisce poco o nulla in termini di imposte dirette, lasciando che il peso delle entrate gravi su una minoranza. Ne consegue un’asimmetria che mette sotto pressione il finanziamento del welfare, già alle prese con una spesa assistenziale in costante crescita.

L’architettura fiscale italiana presenta un’ulteriore criticità: la soglia dei 50mila euro, oltre la quale scatta l’aliquota marginale del 43% più addizionali. Tale livello è sensibilmente inferiore rispetto agli altri principali Paesi europei: in Germania l’aliquota del 42% scatta solo oltre i 67mila euro, in Francia non prima degli 82mila, e con correttivi significativi legati al quoziente familiare.

Il risultato concreto si riflette sulle buste paga: un lavoratore italiano con reddito lordo annuo di 100mila euro e due figli a carico subisce un prelievo del 37,4%, più pesante rispetto alla Germania (24%) e, soprattutto, rispetto alla Francia (9,8%).

È chiaro che la questione non è mettere in discussione il principio costituzionale della progressività, ma riflettere sulla sua concreta applicazione. La pressione eccessiva sul ceto medio rischia di tradursi in una contrazione dei consumi, nella fuga di capitale umano qualificato e in una percezione diffusa di ingiustizia fiscale.

L’avv. Nunziato sottolinea come il confronto con Germania e Francia sia illuminante: a parità di reddito, i contribuenti italiani si trovano penalizzati da un sistema che concentra le entrate tributarie su una platea troppo ristretta.

Se in Germania e in Francia i redditi medi godono di un’imposizione più equilibrata, in Italia il prelievo si accanisce già a partire da soglie relativamente basse. Ciò non solo riduce la competitività del nostro Paese, ma rischia di disincentivare la produttività e la crescita.

Occorre, quindi, ripensare la politica fiscale in chiave europea, introducendo correttivi che alleggeriscano la pressione sul ceto medio e che valorizzino il principio di equità. Solo così sarà possibile garantire un finanziamento sostenibile del welfare e, al tempo stesso, rafforzare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni fiscali.