Pride Sorrento: colori, riscatto e amore. Sannino (Arcigay): Difendiamo i diritti di tutti

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di Rosina Musella

Oggi pomeriggio è partito da Piazza Lauro il primo Pride di Sorrento, organizzato da “PRIDE Vesuvio Rainbow” e “Buonvento tra le costiere”.
A cinquant’anni dai moti di Stonewall, anche nella penisola sorrentina arriva la manifestazione più colorata dell’anno, che porta in piazza attivisti e attiviste impegnati a combattere le discriminazioni contro la comunità Lgbt+. Questa edizione, organizzata dall’associazione “Pride Vesuvio Rainbow” e il collettivo “Buonvento tra le costiere”, rispettivamente impegnate nei territori del vesuviano e della costiera amalfitana e sorrentina, è sostenuta anche da altre realtà: Arcigay Napoli, il Museo Correale, che ospita una mostra dedicata al cinquantesimo anniversario dei moti di Stonewall, Villa Fiorentina, illuminata con i colori dell’arcobaleno. Non mancano sponsor a livello nazionale, come Control, Vitasnella e EasyJet che ha realizzato una campagna di comunicazione dedicata all’inclusione e la diversità. Per saperne di più, abbiamo intervistato Antonello Sannino, Vicepresidente di Arcigay Napoli.

Quale potrebbe essere la risposta di Sorrento?

Sorrento non è una piazza facile. Per certi versi risulta molto più semplice dialogare con i contesti popolari, perché non c’è il pregiudizio radicato di aver per forza ragione, tipica del perbenismo borghese. La reazione popolare alle volte è violenta, impulsiva, ma poi torna sui suoi passi e ragiona. La reazione borghese no, tende a coprire, ad essere omertosa. A Pompei, lo scorso anno, abbiamo avuto problemi diversi, perché c’era la Chiesa a remarci contro. Qui il punto è svegliare i sorrentini, spronarli a capire che l’emancipazione sui diritti civili non riguarda solo le persone Lgbt, ma il benessere di ogni singolo cittadino.

Ci sono stati episodi spiacevoli, può raccontarcene qualcuno?

Mentre pubblicizzavamo l’evento tra i vari locali, in un primo esercizio commerciale ci è stato sconsigliato di contattare i proprietari, dicendoci che il giorno della parata ci avrebbero buttato le pietre. Un venditore in piazza Tasso, invece, affermava che a Sorrento non ci sono persone con “disturbi”, ovvero omosessuali. Un nostro attivista ha chiesto cosa avrebbe fatto se uno dei suoi figli fosse stato omosessuale e lui ha risposto che li avrebbe cacciati di casa. Sono, però, due episodi singoli, e se tutto fosse andato bene avrebbe significato che del Pride effettivamente non ce ne sarebbe stato bisogno. Inoltre, anche la campagna social sta avendo forti attacchi, per la scelta di alcuni soggetti protagonisti.

“Magnate ‘o limone” è lo slogan scelto per la campagna, che con la sua trasversalità cerca di sensibilizzare su temi che vadano anche oltre la lotta LGBT+, come il razzismo e la grassofobia.

La foto al centro delle polemiche sui social


Perché tutto questo odio, secondo lei?

Fino al 1990 l’omosessualità era considerata una malattia mentale, se ne cercava una cura e se ne temeva il “contagio”. Nel 1960, Aldo Braibanti finì in galera per la sua relazione con Giovanni Sanfratello, all’epoca minorenne. Quest’ultimo terminò la sua vita in manicomio, dove fu sottoposto anche all’elettroshock. Questo succedeva nell’Italia repubblicana e antifascista degli anni ’60. È un retaggio culturale che ci portiamo dietro. Qualche anno fa mi sono ritrovato in casa due ragazzi di 18 e 20 anni cacciati di casa dai genitori; la madre del ragazzo diciottenne temeva che l’omosessualità del figlio potesse essere trasmessa alla sorellina dodicenne. Stiamo evolvendo, ma il cambiamento è stato talmente rapido che ci lasciamo dietro l’aspetto culturale che impiega più tempo a cambiare, per questo i Pride sono fondamentali, soprattutto nei piccoli centri.

Chi sarà la madrina di quest’anno?

Rosa Rubino, che rappresenta il senso più autentico e vero delle nostre battaglie. La famiglia non le consentì di fare ciò che voleva. È stata costretta alla strada per tanti anni, perché nessuno dava un’opportunità ad una persona transessuale. Ha combattuto contro la società, la famiglia, se stessa e a sessant’anni è tornata a scuola, prendendo il diploma. Ora ha un contratto a tempo indeterminato come segretaria di una cooperativa sociale. È il simbolo di un riscatto, come quello Stonewall che si ribellava alla prepotenza della società americana degli anni ‘60.