Quando si fa del visitatore un detective artistico

77

La tavola del Salvator Mundi, attribuita non senza discussioni e dubbi a Leonardo da Vinci, e il Cristo Benedicente, un’altra opera della sua bottega, sono dall’inizio dell’anno in mostra al museo di Donnaregina. Fantastico? Certo, Leonardo è sempre Leonardo. Si tratta davvero di Leonardo? Qualche critico dice di sì, qualcun altro invece nega quest’attribuzione. Una mostra difficile, che per le dispute sull’autenticità è stata oggetto di un accoglienza più che tiepida da parte della critica d’arte e che ha avuto riscontri di pubblico certamente non da prima pagina. Eppure frutto del genio creativo di Leonardo oppure di quella di un suo allievo, il Salvator Mundi è comunque un olio su tela di fine 1400 di sicuro interesse. Come mai allora il portone del Museo Diocesano non è assediato da frotte di turisti? Come mai la visita si risolve in una passeggiata con lettura di didascalie tra queste e altre opere di allievi di Leonardo? Le mostre su questo geniale quanto poliedrico autore si sprecano in Italia e nel mondo, e in genere riscuotono un certo successo. Salvator Mundi fu esposta alla National Gallery di Londra alla mostra “Leonardo da Vinci. Pittore alla corte di Milano” dove per la prima volta erano esposte insieme, anzi di fronte, le due Vergini delle Rocce, ed erano riuniti nella stessa stanza due dei ritratti femminili piú celebri e osannati di Leonardo: ‘La Dama con l’ermellino’ del Museo nazionale di Cracovia e ‘La Belle Ferrronière’ del Louvre, e dove il Salvator Mundi, sia pure con tutto il carico di dubbi e la necessità di approfondimenti, aveva trovato il giusto contesto. Inutile dire quale e quanto il successo di quella mostra che durò solo tre mesi ma attirò esperti ed amatori da tutto il mondo.

La mostra su Leonardo tenutasi a Milano a Palazzo Reale contò 230000 visitatori. Quella alla Citè des Sciences et de l’Industrie a Parigi, nel 2012, fu visitata da 275.500 persone e più tardi al Deutsches Museum di Monaco di Baviera ebbe 121.600 visite. Ovvio, è Leonardo non mister Magoo. Appunto. Proprio perché un autore come Leonardo è visibile quasi esclusivamente in mostre, esposizioni o sui libri di studio (quei pochi che hanno la fortuna di averne un’opera la tengono gelosamente sepolta in qualche super cassaforte) una mostra di opere anche solo probabilmente a lui attribuibili, non puo’ non suscitare almeno curiosità e affluenza di pubblico. Possibile che avendo a disposizione un’opera sulla quale aleggia il dubbio di una importantissima attribuzione, sia necessaria la fantasia di Dan Brown o chi per lui, che inventi una sua, verosimile o meno, verità per suscitare l’interesse di pubblico e critica? Perché non trasformare il visitatore in un detective artistico cui fornire lungo il percorso espositivo indizi ed elementi che trasformino una visita in un esperienza di creatività culturale? Nessuno avrebbe la pretesa di aver scoperto la verità ma tutti sarebbero portati a cimentarsi nell’impresa. Il risultato potrebbe anche essere una maggiore conoscenza del grande scienziato artista. I ragazzi delle scuole, opportunamente istruiti dal corpo docente, potrebbero addirittura redigere schede d’analisi storico artistica e formulare la propria ipotesi. Il materiale di un esposizione è importantissimo, ma ancor di più è importante il modo in cui viene offerto al pubblico. Bisogna avere un immagine omnicomprensiva dell’oggetto da mostrare e creargli intorno una narrazione compatibile con diversi livelli culturali.

Il Museo Guimet di Parigi nel 2013 propose al pubblico “Il Te . Storia di una bevanda millenaria” Anche questa mostra fu molto discussa e divise il pubblico tra ammiratori e severi critici. Poco importa chi avesse ragione. La mostra fu prolungata di ben tre settimane rispetto alla data preventivata per la chiusura per grande afflusso di pubblico.

Il numero di visitatori fu ragguardevole. La tecnica espositiva sollecitava tutti i sensi del visitatore: dall’ingresso dove in alcune coppette sistemate su dei tavolini i visitatori potevano avvicinarsi e annusare il profumo di numerose qualità, al cuore della mostra con l’ingombrante Tonnellata di tè dell’artista cinese e attivista per i diritti umani Ai Weiwei, e il video che mostra la degustratrice di tè Tseng Yu Hui capace di distinguere le più labili fragranze racchiuse in una tazzina di bevanda bollente. Un manoscritto metteva in scena la contrapposizione culturale e letteraria tra il tè e il vino, di natura più spirituale il primo, più legato alla carnalità il secondo risolvendo così il mistero della dedizione dei monaci al te e non all’alcol. Questa mostra che non aveva l’ambizione di raccontare tutti i passaggi della storia del te, voleva suscitare interesse per l’argomento e più prosaicamente e voleva “fare cassa”. Goal. E noi, che aspettiamo?