Quanto durerà la guerra? Dipende da Putin. Ma ogni forma di ottimismo è fuori luogo

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in foto Vladimir Putin

La notizia è stata data già mercoledì sera in apertura dai vari notiziari radiotelevisivi di tutta l’Europa e ha meritato molte prime pagine dei giornali di giovedì. Si tratta del rafforzamento del già massiccio coinvolgimento di tutto l’Occidente a fianco dell’Ucraina per contrastare l’azione militare della Russia. Essa si è intensificata in quest’ultimo periodo, anche se ancor oggi definita da Mosca, con senso dello humour macabro e con ipocrisia non comune, “esercitazione militare speciale”. Nel pomeriggio (per l’Europa) dell’altro ieri c’è stato una riunione virtuale per telefono tra i capi di governo di alcuni paesi della Eu ai quali si è aggiunto dagli Usa il Presidente Biden. Tanto soprattutto per dare al Cremlino e al mondo un segnale forte e chiaro di quanto siano coesi i paesi che fanno parte del Patto Atlantico. Il tutto messo in pratica con l’annuncio ufficiale del prossimo invio all’ Ucraina di un quantitativo decisamente consistente di armi e mezzi militari. Per tutta risposta, Putin ha fatto diffondere dal portavoce del Cremlino, più precisamente dal suo servo sciocco, la risposta sua e degli altri apprendisti zar o boia che lo circondano. Ha ricordato, quella forma di reazione isterica, molto da vicino lo “spezzeremo le reni alla Grecia” pronunciato tanti anni fa disgraziatamente a Roma. Sarà bene considerare alcuni dettagli della situazione del conflitto così come inizierà a evolvere da oggi in poi. La logistica per il trasferimento delle armi a cui è stato giá dato il via libera, avrà bisogno di un certo tempo per arrivare sui diversi fronti dove l’esercito ucraino sta difendendo strenuamente la propria nazione. Sul lato pratico, cioè sull’impegno o esposizione che definir lo si voglia, dei paesi suoi alleati, alla fine la campagna di Ucraina, direttamente o indirettamente, costerà parecchi soldi. C’è di più: le scorte di materiale bellico andranno a diminuire in maniera più che consistente nei magazzini dei paesi fornitori e dovranno essere ricostituite al più presto: un’altra guerra potrá essere sempre sul punto di scoppiare, soprattutto dove la democrazia non è di casa. L’esborso per effettuare quella ricostituzione non sará trascurabile, reso ancora più oneroso dal fatto che avverrà nell’ attuale contesto ben evidente di una crisi socioeconomica pressochè planetaria. In un mondo che vorrebbe essere considerato moderno, si è costretti a ammettere l’ eventualità concrteta che su di esso possano essere compiuti passi falsi di una certa portata. Ciò senza in alcun modo dubitare della giustezza che gli stessi rivestirebbero se e quando le acque del grande Padre Oceàno da cui spuntano i continenti fossero calme e Eolo e gli altri venti suoi colleghi riposassero. Nel primo dopo guerra, precisamente negli anni ’50, programmare e quindi pianificare furono il leitmotiv della ricostruzione di tutti i paesi che erano stati coinvolti nel conflitto mondiale. Già all’epoca fu fatta distinzione tra programma e piano, a qualsiasi azione si riferissero. Il primo descrittivo, nel senso più ampio del termine, il secondo quantitativo, senza fronzoli ma cifre, sia nella colonna delle entrate che in quella delle uscite. In più, per entrambi, furono ipotizzate tappe nel corso dell’ esecuzione, denominate di controllo e di verifica. Tanto per poter provvedere agli eventuali aggiustamenti degli stessi mentre l’opera era ancora in corso. In più cominciò a prendere forma, oggi si deve riconoscere “meno male”, lo studio della gestione delle crisi. Come è noto, non restò un esercizio teorico e oggi quella pratica terapeutica è, con animo beneaugurante, chiamata sempre più spesso al capezzale di soggetti defedati, come ultimo appiglio prima che gli stessi scivolino rovinosamente. La terminologia è tratta senza modifiche dai manuali di economia politica e aziendale dell’epoca. Il loro work in progress non fece una piega almeno fino ai primi anni del decennio successivo, nel bene e nel male i celeberrimi anni ’60. Una delle condizioni che determinarono tale importante innovazione delle scienze sociali e economiche, cioè l’ipotizzare non solo con la fantasia il futuro prossimo venturo, fu senz’altro il clima di pace che, di massima, si era stabilito all’epoca tra gli ex belligeranti. Erano i conflitti sociali, che iniziavano a manifestarsi in un crescendo di violenza, a turbare così, anche se non troppo, sia i governi che l’imprenditoria privata. Furono questi ultimi i protagonisti del cosiddetto Miracolo Economico del Paese. Oggi sarebbe impossibile pensare che si possa agire come allora. È sgradito il solo pensare che, oltre al patrimonio di vite umane, inestimabile e con scarsissime chanches di poter essere ricostituito in un periodo breve, è quanto riguarda in toto il sistema paese Ucraina, compromesso in tutto e per tutto. Oltre che della finanza, avrà bisogno di professionalità di ogni settore. Dovranno in buona parte provenire da oltre confine, per aiutare quel paese a rialzarsi sulle proprie gambe.Tutto ciò se il cessate il fuoco fosse in programma per domani.
Così non è e non lo sarà nemmeno per dopodomani. Quando allora? Desolatamente è necessario prendere atto che ciò potrà avvenire solo dopo che la follia sarà uscita dal Cremlino: al momento è impossibile non solo ipotizzare il quando, ma anche disgraziatamente il se. Ogni forma di ottimismo, per ora, sarebbe da considerarsi fuori luogo.