Quello zero virgola che entusiasma Matteo

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Cresce o non cresce il Paese? E se cresce soltanto dello zero virgola qualcosa, come purtroppo sembrerebbe, manifestare entusiasmo – occasione che naturalmente il presidente del Consiglio Matteo Renzi non s’è lasciata sfuggire – è una reazione eccessiva e dunque da redarguire, come hanno puntualmente fatto i detrattori del premiere; o piuttosto – considerato il lungo e triste periodo che ci lasciamo alle spalle – è cosa buona e giusta, come hanno invece ribattuto i supporter? Sono queste le domande che hanno affollato la mente del lettore (o telespettatore) medio di fatti economici, questa settimana. Domande che tradiscono, evidentemente, non poca confusione in chi legge (talvolta anche in chi pubblica, a dire il vero) dal momento che sorgono sulla scorta dei numerosi e spesso contraddittori indicatori quotidianamente sfornati dalle più disparate centrali di osservazione. Dati, se possibile, che aumentano ancor più la confusione in chi legge o ascolta se a pubblicarli è una fonte ufficiale e autorevole come l’Istat. Insomma – posto che il peso delle mele non va confuso con quello delle pere – chi glielo spiega al cittadino-lettore medio che il dato in aumento del Pil non è necessariamente in contraddizione con la nuova manifestazione deflattiva sui prezzi del mese di febbraio? Oppure, che la notizia della crescita dei contratti di acquisto della casa e, dunque, dei mutui ben si concilia con quella del recepimento della direttiva europea che prevede di toglierti la proprietà della casa dopo sette rate di morosità? O anche che l’aumento degli occupati stabili è congruente con la percentuale di disoccupazione che viene comunque registrata immodificata? E via di questo passo. Perplessità lecite, evidentemente, che però il premier si è incaricato di mettere subito a tacere. “I numeri dimostrano che l’Italia è tornata – ha scritto su facebook –. Non la lasceremo in mano ai catastrofisti che godono quando le cose vanno male”. E ha anche aggiunto: “Con questo governo le tasse vanno giù, gli occupati vanno su, le chiacchiere dei gufi invece stanno a zero”. Proviamo, allora, a ricapitolarli questi numeri e, magari, a puntualizzare. Dopo tre anni, nel 2015, il Pil italiano è tornato a crescere: +0,8%. In proposito, va ricordato, che qualche mese fa s’era parlato non senza delusione di un ancor più modesto +0,7%, visto che nella nota di previsione di aggiornamento al Def dello scorso settembre il governo aveva baldanzosamente parlato di un +0,9%. Un esiguo punto decimale, dunque, frutto peraltro di una revisione contabile da parte dell’Istat, è riuscito a trasformare il nero in bianco, il pessimismo in ottimismo. L’Istat ha anche reso noto che a gennaio gli occupati sono tornati a crescere (+70mila su dicembre, +299mila su base annua) ma il tasso di disoccupazione, come detto, è rimasto purtroppo invariato all’11,5%, mentre i giovani senza lavoro sono al 39,3% (38,6% a dicembre). L’ottimismo del governo ha trovato riscontro anche nella ripresa del mercato immobiliare, con le compravendite residenziali salite del 6,5% nel 2015, sotto la spinta di un mercato dei mutui effervescente che ha registrato un incremento del 19,5%. Su questo fronte, però, contestualmente è anche stato letto di segno contrario la decisione di recepire la direttiva europea che assegna l’automatico passaggio di proprietà alla banca in presenza di sette rate di mutuo non pagate. Rate che soltanto la contrarietà delle famiglie in difficoltà di cui si fa combattivo portavoce il Movimento 5 Stelle saliranno a 18, ha quasi subito corretto e precisato la maggioranza di governo. E sempre a proposito di numeri ce ne sono anche altri che meritano di essere ricordati. Nel 2015, infatti, il debito italiano è stato al 132,6% del Pil, il massimo dal 1995, da quando cioè sono state ricostruite le serie storiche (nel 2014 si attestava al 132,5%). E anche in questo caso, giusto per ricordare, il dato è stato inferiore alle previsioni del Governo nella richiamata nota di aggiornamento del Def, che indicava infatti un rapporto del 132,8%. Insomma, siamo sempre nel campo dello zero virgola. In valore assoluto, comunque, il debito del 2015 si è attestato a circa 2.170 miliardi di euro, un livello record. Ancora, la pressione fiscale nel 2015 è stata al 43,3% del Pil, il livello più basso dal 2011 quando aveva segnato 41,6%. Infine, ma non ultimo, da registrare che anche gli investimenti dopo 8 anni sono tornati a crescere. E magari, in questo senso, un impulso in più verrà dal disco verde del governo al nuovo codice degli appalti, il quale da 600 articoli passa a 217, snellisce procedure e burocrazia e soprattutto pone fine alle gare al massimo ribasso. Anche perché adesso – s’è detto – di tutto c’è bisogno fuorché di ribassi. Anzi, bisogna alzare decisamente il ritmo.