Quello del 4 dicembre 2016 è stato un voto molto più “politico” che referendario, anche e soprattutto a causa della forte polarizzazione, personalizzazione e “partitizzazione” del voto. È quanto rileva l’Istituto Cattaneo mettendo a confronto i dati delle due precedenti consultazioni Referendarie – ottobre 2001 e giugno 2006 – e quelli delle ultime politiche del 2013. Molti degli elettori che si sono recati ai seggi, spiega l’istituto di analisi bolognese, sottolineando l’altissima partecipazione elettorale che ha contraddistinto il referendum, lo hanno fatto sulla base di motivazioni che andavano oltre l’approvazione od il rigetto della proposta di riforma costituzionale approvata ad aprile 2016 dal governo Renzi. Hanno percepito l’importanza della posta in gioco e, di conseguenza, si sono mobilitati in larghissima parte. “Non si scopre nulla di nuovo dicendo che è stata proprio la personalizzazione impressa all’appuntamento referendario da parte del presidente del consiglio a farne un voto pro o contro il proprio governo- scrive il Cattaneo nell’analisi – di conseguenza, molti elettori hanno percepito l’importanza della posta in gioco e sono andati a votare più che in passato (e in maggior numero rispetto alle attese”. Le differenze territoriali sul voto, aggiunge il Cattaneo “raccontano un film già visto molte volte nel nostro paese: il centro-Nord partecipa di più, il Meridione appare relativamente più disinteressato (anche in un contesto come questo, a forte impatto “politico”)”. Da questo punto di vista, Veneto (col 76,7%), Emilia-Romagna (75,9%) e Toscana (74,5%) sono le regioni che evidenziano i tassi più alti, laddove Calabria (54,4%), Sicilia (56,7%) e Campania (58,9%) rappresentano i fanalini di coda. In tutte le regioni italiane, conclude il Cattaneo, ha votato comunque più della maggioranza degli aventi diritto.
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