Ricerca, geni regolatori della risposta immunitaria: la scoperta di un team italo-svizzero

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La risposta immunitaria agli agenti patogeni, come i batteri o i virus, puo’ essere troppo debole e favorire gravi malattie come il cancro, o eccessiva e causare gravi malattie infiammatorie autoimmuni come la sclerosi multipla o anche – lo vediamo oggi – la polmonite dovuta al Sars-Cov 2. Un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Ricerca in Biomedicina (IRB) di Bellinzona, Universita’ della Svizzera italiana, e dell’ Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano ha scoperto un meccanismo molecolare che regola la risposta immunitaria, per evitare proprio le risposte eccessive in un senso o nell’altro. Lo studio e’ stato pubblicato oggi su Nature Immunology. I ricercatori hanno identificato “una rete di geni regolatori, concatenati fra loro – spiega Silvia Monticelli, la ricercatrice dell’IRB alla guida del team – che possono favorire o reprimere la reazione pro-infiammatoria e potenzialmente patogenica dei linfociti T”, cellule del sistema immunitario. In particolare, hanno individuato il fattore chiave di questa regolazione nel gene BHLHE40, che “reprime direttamente l’espressione di un enzima, la Regnase-4, capace di degradare molecole infiammatorie, che sono fondamentali per una corretta risposta immune, ma che possono risultare dannose se prodotte in eccesso”. “L’immunoterapia dei tumori e l’immunomodulazione di malattie autoimmuni possono essere viste come due facce della stessa medaglia – dice Gioacchino Natoli, group leader del Dipartimento di Oncologia Sperimentale IEO – In entrambi i casi vogliamo regolare l’attivita’ dei linfociti, solo che mentre nei tumori questa attivazione deve essere massimizzata, nelle malattie autoimmuni deve essere limitata”. “La Ricerca sugli aspetti della regolazione delle risposte immunitarie e’ fondamentale per capire cosa succede in tanti tipi di malattie, incluse le malattie infettive, come stiamo purtroppo vedendo oggi con la pandemia del Covid-19 – conclude Silvia Monticelli – La speranza e’ sempre quella che ricerche vigorose in questo senso ci portino a nuove terapie, anche se i risultati quasi sempre si vedono a distanza di anni”.