Rigopiano secondo i Vigili del fuoco: “Caso unico, lo racconteremo al mondo”

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Roma, 17 gen. – (AdnKronos) – Sono passati due anni dalla , travolto da una valanga il 18 gennaio 2017. I morti sono stati 29, 11 i superstiti, sopravvissuti dopo essere rimasti per ore tra le macerie dell’albergo di Farindola, piccolo centro del pescarese. Estratti vivi grazie al lavoro instancabile dei Vigili del Fuoco, arrivati immediatamente e rimasti lì per giorni e giorni. Un’esperienza unica, per le difficoltà create da uno scenario complesso, tanto da essere diventato ora un caso di scuola.

“Tutta l’operazione è stata complicatissima, sono situazioni che segnano la vita – racconta all’Adnkronos l’ingegnere Giuseppe Romano, all’epoca direttore centrale per le emergenze -. Era uno scenario davvero difficile. Uno scenario che l’Italia ha riproposto a livello internazionale: l’anno prossimo con il dipartimento della protezione civile dovremmo riuscire a fare un’esercitazione in una situazione analoga. E’ diventato un caso di scuola, non solo per i vigili del fuoco italiani ma anche per tutto il mondo che si occupa di ricerche sotto le macerie, che una situazione del genere non l’ha mai vista”.

“Abbiamo impiegato tutte le risorse che si potevano mettere in campo, eccetto i sommozzatori abbiamo utilizzato tutte le competenze che abbiamo all’interno del Corpo – spiega – e tutte sono state utili, compresa la ricerca delle sostanze pericolose, perché c’era il gas proveniente dalle cucine”. Romano aveva un ruolo di coordinamento ma fin dalla mattina successiva alla valanga era sul posto a seguire le operazioni. “La prima difficoltà è stata raggiungere il luogo dove sorgeva l’albergo, un lungo percorso aperto dalla turbina, un senso unico lungo alcuni chilometri, era difficile portare le attrezzature – ricorda – Il primo giorno la cena mandata agli operatori partita alle 18.30 è arrivata alle 2 di notte. Prima di capire se la valanga si era conclusa e quale era la condizione di rischio c’è voluto un po’, le condizioni atmosferiche non consentivano di valutare la situazione a monte. Il rischio nelle prime fasi è stato un fattore determinante di cui tenere conto, abbiamo piazzato un radar speciale che serviva a monitorare la neve”.

“Abbiamo dato una risposta al massimo livello possibile – assicura Romano – in uno scenario totalmente nuovo nel mondo del soccorso, anche del soccorso in montagna, un terremoto associato a una valanga, che aveva tranciato il bosco, che di solito serve a frenarla. In alcuni casi per garantire il ricambio degli operatori, per farli riposare dopo ore e ore di lavoro, bisognava portarli via con la forza, non volevano mollare”.

Uno di loro è Fabio Tabanella, della squadra Usar del Lazio. “Non vedevamo nulla, era tutto ricoperto dalla neve che aveva nascosto le macerie – racconta – Abbiamo lavorato tantissimo prima per trovare le macerie poi abbiamo per cercare le persone vive . Ero a pochi metri dal collega che uscendo da uno dei fori ci ha allertato dicendo di avere sentito delle voci. Lì si è messo in moto tutto il sistema per il recupero: questa è una scena che rimane ancora viva della memoria”

“C’era sempre il rischio di nuove frane mentre lavoravamo incastrati nei cunicoli avevamo le sentinelle per dare allarme ma raggiungere la zona di sicurezza era difficile. Quando abbiamo trovato l’ultimo superstite rimasto incastrato per circa 60 ore, abbiamo scavato tutta la notte, aveva spazi limitati, ogni momento era prezioso”, ricorda, e il suo pensiero va ai bambini salvati, ”gli avevamo promesso di portarli al cinema e lo abbiamo fatto”, e al pasticcere Giampaolo Matrone: “abita a due chilometri da casa mia, io a Mentana lui a Monterotondo, mentre lo soccorrevo sentivo il suo accento, ci siamo riconosciuti, abbiamo anche scherzato durante tutto il lavoro di scavo, ci siamo presi un po’ in giro, rivalità tra paesi vicini…”.