Rivendica il diritto all’esercizio del non voto o meglio di un’“astensione consapevole”, quando nessuna delle opzioni in campo convincono l’elettore. Geppi Rippa, ex segretario del partito Radicale e direttore dei Quaderni Radicali, boccia senza mezzi termini protagonisti e toni della campagna elettorale che si è appena conclusa in Campania: “Rispetto a cinque anni fa poco o nulla è cambiato – dice Rippa -: candidati e coalizioni si iscrivono nel vecchio gioco clientelare. Da una parte hanno prevalso le capacità tattiche di De Luca a cucire alleanze che sono risultate vincenti ma che sarà difficile coordinare e portare a sistema. Dall’altra, hanno penalizzato Caldoro la sua mancanza di personalità, l’incapacità di dare un profilo visibile alla leaderhip, l’eccessiva cautela, la rinuncia alle prese di posizione”.
Che cosa ricorderà di questa campagna elettorale?
L’unico elemento politico che ne è emerso in maniera clamorosa: una forte astensione, visto che alle urne si è recato appena il 51,9% degli elettori, ovvero l’11% in meno rispetto alle precedenti regionali. Un dato che si offre a una duplice lettura: da una parte scegliere di non votare può essere una questione di qualunquismo, disinformazione, semplice pigrizia, indifferenza e disaffezione a cui hanno contribuito tutti i partiti della competizione e paradossalmente anche quelli designati come antagonisti: Grillo e la Lega di Salvini che alla fine sono riusciti a raccogliere ben poco di questo senso di distacco.
E la seconda lettura?
L’astensione può essere anche il frutto di una precisa volontà, l’esercizio di un diritto sancito in maniera chiara dalle leggi 276 e 277 del 4 agosto 1993 che hanno definito l’espressione del voto come un diritto appunto e non più anche come un dovere. Mi spiego meglio: votare è un mio diritto ma se le opzioni non mi convincono è un mio diritto anche scegliere di astenermi, specie in un Paese come il nostro dove la partecipazione al voto è condizionata da una serie di elementi. Siamo reduci da un 70ennio di partitocrazia e gli attori in campo sono ancora gli stessi che detengono il potere da anni. Il Paese vive una delle crisi più drammatiche della propria storia e nessuna delle alternative politiche disponibili è in grado di offrire una soluzione reale. Lo stesso antagonismo è congeniale alla disastrosa occupazione della classe di potere che non ha risposte da dare ai problemi reali della gente: una situazione che sta creando la base materiale per pericolosi sbocchi autoritari perché è dal caos che generano gli estremismi. Nel dato dell’astensione è contenuta anche una percentuale piuttosto vasta – attorno al 20-30 per cento – di gente che ha una precisa consapevolezza: non vuole votare perché non si sente rappresentata da questo basso livello di politica.
Lei chi ha votato?
Non voto in Campania perché sono residente a Roma, ma se avessi votato qui avrei indubbiamente optato per l’astensionismo consapevole.
Non la convinceva nessuna delle opzioni in campo?
L’elettore si è trovato di fronte fisionomie politiche che più che essere una risposta alla crisi ne sono parte integrante. Da una parte un governatore uscente privo di personalità politica, dall’altra uno sfidante con una visione egocentrica che non credo sia funzionale alla risoluzione dei problemi, come non lo sono gli accordi con De Mita e una parte dei forzisti, parte integrante di quella compagnia di giro che ha fatto sì che la politica diventasse solo questione di equilibri e non più risposta alle esigenze di partecipazione che arrivano dal popolo.
Stessa sfida di 5 anni fa, ma questa volta l’ha spuntata De Luca. Che cosa è cambiato rispetto al 2010?
Non è cambiato quasi nulla rispetto a cinque anni fa: candidati e coalizioni si iscrivono nel vecchio gioco clientelare. Hanno prevalso le capacità tattiche di De Luca di cucire alleanze che sono risultate vincenti ma che sarà difficile coordinare e portare a sistema.
Anche questa volta l’ostacolo maggiore per l’ex sindaco di Salerno è stato il fuoco amico?
De Luca è stato il bersaglio predestinato dello scontro interno al Pd, che ha raggiunto livelli a dir poco imbarazzanti con il comportamento della Commissione antimafia e la messa a bando del suo nome 48 ore prima del voto. Abbiamo assistito a manovre di palazzo che nulla hanno a che vedere con le garanzie degli elettori e che calpestano senza alcun ritegno i diritti degli impresentabili. Un atteggiamento che, per una situazione analoga, Sciascia definì di cretinismo politico.
In che cosa ha sbagliato Caldoro?
La principale debolezza di Caldoro è la sua mancanza di personalità: in politica occorre dare un profilo visibile alla leadership. Alle urne lo hanno penalizzato l’eccessiva cautela, il suo voler evitare a tutti i costi le radicalizzazioni, la rinuncia alle prese di posizione. Caldoro non è riuscito a parlare alla pancia della gente. Mi spiace perché è una brava persona ma avrebbe dovuto connotare questo suo quinquennio a Santa Lucia con un profilo più autorevole. Sul piano concreto non ha fatto male, ma non ha fatto neppure bene.
I Radicali hanno stretto un accordo con De Luca per queste Regionali. Che cosa vi ha convinto a scendere in campo con l’ex sindaco di Salerno?
Che io sappia Pannella si è incontrato una volta sola con De Luca a Roma. Non conosco i contenuti della chiacchierata ma più un incontro occasionale in un pomeriggio di sole che la sigla di un’intesa politica.
Il primo atto di De Luca da governatore è stata la querela alla Bindi per diffamazione. Una mossa giusta?
De Luca è stato oggetto di un attacco inaccettabile: viene inserito nella lista nera di nascosto, nottetempo, su un procedimento di 17 anni fa per il quale tra l’altro l’ex sindaco di Salerno non aveva accettato la prescrizione. Cos’altro poteva fare? Avrà pure il diritto di difendersi.