Riscoprire le origini per accettare il cambiamento:la chiave dell’innovazione

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In questo periodo di grandi cambiamenti si dovrebbe incominciare a recepire la “storia”, intesa nel senso pìù ampio del termine, come qualcosa di vertiginosamente rapido e che nella maggior parte dei casi, i fatti che accadono sono difficilmente gestibili dall’uomo, sebbene sia il genere umano stesso, causa di questi ultimi. Un esempio lampante di ciò che non si è più in grado di gestire e di contenere in maniera adeguata sono gli ingenti e sempre più frequenti flussi migratori di persone provenienti dall’Africa settentrionale, che attraverso i cosiddetti “viaggi della speranza”, mettono in gioco la loro vita pur di scappare da situazioni di indicibile difficoltà, sperando di trovare nei paesi europei, una terra promessa, un mondo che sia in grado di accoglierli ed ospitarli. Molti politici, o sedicenti tali, forse più demagoghi dell’ultima ora, che però riscuotono grande successo nel sempre più ignorante ed esausto elettorato, vanno dicendo da mesi e mesi di aver trovato la soluzione a questa immensa e senza dubbio difficile questione. Ma non è certo chiudendo le frontiere che si risolve il macro problema dell’immigrazione. Forse chi professa la chiusura delle frontiere si è dimenticato che non più di sessant’anni fa, centinaia di milioni di italiani trovarono fortuna migrando nei gloriosi States. Chi diffonde messaggi di non tolleranza porta sicuramente cattive speranze per il nostro Paese, sempre più bisognoso di idee e persone, anche di altre nazioni che possano quotidianamente aiutarlo nella sua difficile rinascita. Altrettanto becera e abietta è però l’ipocrisia di chi pretende una politica di integrazione ove quest’ultima si rivela per definizione impossibile. Sarebbe opportuno, una volta per tutte rileggere i classici, risalire alla grande civiltà greca, che accoglieva indiscriminatamente tutti “gli ospiti” in quanto sacri agli dei, ma li accoglieva a patto che essi si adattassero alle regole e alle norme vigenti nella polis in cui venivano accolti. Il grande passo da compiersi dunque è quello di sensibilizzare e diffondere nel miglior modo possibile un messaggio di tolleranza e coltivare il più pervicacemente possibile, ove vi siano le condizioni, azioni di integrazione, nel rispetto di usi e costumi di un’altra religione, che però non vadano a ledere l’identità culturale del popolo ospitante. Tante questioni si sono dibattute negli anni in merito alle problematiche di immigrazione, integrazione e tutto ciò che ne consegue, e in tutti i casi l’invito è di attingere sempre ai grandi pensatori e alla vastissima produzione letteraria internazionale: il filosofo neo-idealista Benedetto Croce nei suoi scritti diceva, riferito agli italiani “Non possiamo non dirci cristiani”, ma inteso come culturalmente cristiani, in quanto da sempre la chiesa e la morale cattolica permeano la nostra cultura e talvolta la influenzano pesantemente, ma fortunatamente attraverso la figura di questo papa “illuminato”, possiamo finalmente dire di avere una chiesa inclusiva, disposta ad accettare e a dialogare anche con chi in passato è stato acerrimo nemico della stessa. Probabilmente Benedetto Croce, quando scriveva, non si immaginava neppure cosa sarebbe accaduto a più di sessant’anni dalla sua morte, ,ma è opportuno pensare, che da buon cristiano mosso dalla pietas, sarebbe stato propenso ad accogliere i migranti, non a cacciarli. Le riflessioni che possono suscitare in ogni cittadino, a prescindere da condizioni, provenienza, orientamento religioso e politico sono inevitabilmente innumerevoli, ma ciò che si deve capire e che probabilmente non si riesce ad accettare è che chi adesso richiede ospitalità ai paesi più ricchi, sarà chi probabilmente, mosso da un inesauribile senso di gratitudine nei confronti di esso e del suo popolo, lo amerà e si batterà per renderlo sempre di più un paese migliore. Quindi sono l’inclusione e la tolleranza, sia chiaro non indiscriminate, le vere chiavi dell’innovazione. Utopia? Forse.