Salario minimo, Unimpresa: Per Sud e Pmi sarebbe un disastro, costi extra per 6,7 mld

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Dagli 1,62 euro della Bulgaria agli 11,97 euro del Lussemburgo, passando dai 10,03 euro della Francia e dai 9,19 euro della Germania. E ancora: in Belgio è di 9,41 euro, in Olanda è di 9,33 euro, in Spagna è fissato a 6,09 euro, nel Regno Unito è pari a 9,54 euro, in Inghilterra è invece pari a 8,21 euro, in Irlanda ha un valore di 9,80 euro. Il salario minimo esiste in tutti gli Stati membri, in alcuni casi è stabilito per legge, in altri dalla contrattazione collettiva. È quanto emerge da un paper di Unimpresa secondo cui ”posto che la media salariale mensile degli Stati europei è pari a circa 924 euro, se il salario minimo europeo fosse calcolato in base a tale media, non troverebbe mai possibilità di approvazione, in quanto determinerebbe per molti Paesi un incremento insostenibile del costo del lavoro e così la crescita del livello di disoccupazione, l’aumento del lavoro irregolare e la perdita di competitività”.  L’aumento del costo del lavoro, secondo Unimpresa, avrebbe un impatto negativo principalmente sulle piccole e medie imprese, riducendo drasticamente la competitività soprattutto nei mercati internazionali; gli effetti negativi potrebbero essere, invece, più contenuti per le imprese di grandi dimensioni.  Fissando la soglia del salario minimo legale a 9 euro lordi l’ora, emerge dal paper, il livello retributivo italiano diverrebbe uno dei più elevati fra i Paesi membri, con potenziali gravi ripercussioni e costi assai elevati: i lavoratori coinvolti nell’incremento salariale risulterebbero, infatti, pari a 2,9 milioni, con un aumento retributivo medio annuo di 1.073 euro, un incremento complessivo del valore di 3,2 miliardi e un costo totale per le aziende stimato attorno ai 6,7 miliardi. Sono proprio i Paesi caratterizzati da un’elevata copertura della contrattazione collettiva ad avere una minore percentuale di lavoratori a basso salario, una minore disuguaglianza salariale e salari minimi più elevati, si legge nel paper. Per converso, nei Paesi che hanno già introdotto il salario minimo legale la questione dei lavoratori sottopagati e la diffusione di pratiche illegali sono ancora presenti.
”A qualunque livello fosse fissato, il salario minimo in Italia inciderebbe, in misura particolare, sulle piccole e piccolissime imprese del Mezzogiorno; con conseguenze che non è difficile immaginare: riduzione di manodopera oppure, in alternativa, ulteriore ricorso al ‘sommerso”’, afferma il consigliere nazionale di Unimpresa, Marco Pepe. ”In Italia, la determinazione dei salari è rimessa alla contrattazione collettiva e, si ribadisce, il modello italiano di relazioni sindacali è caratterizzato da un elevato livello di pluralismo organizzativo per ciascun settore produttivo, sia dal lato dei lavoratori sia da quello dei datori di lavoro; pertanto, per il legislatore al fine di conformarsi alla direttiva europea può fare riferimento ai contratti collettivi nazionali”. ”Le differenze nella determinazione del salario minimo all’interno dei paesi dell’Unione europea sono, di tutta evidenza, sia a livello economico-sociale complessivo (costo della vita, produttività, competitività e sviluppo), sia a livello giuslavoristico tanto in relazione alle componenti della retribuzione quanto all’orario di lavoro e, partendo da tale situazione l’individuazione di un valore monetario unico, efficace, efficiente e congruo in tutta Europa, appare pressoché utopistica”, aggiunge Pepe. ”Infatti”, spiega il consigliere, ”posto che la media salariale mensile degli Stati europei è pari a circa 924 euro, se il salario minimo europeo fosse calcolato in base a tale media, non troverebbe mai possibilità di approvazione, in quanto determinerebbe per molti Paesi un incremento insostenibile del costo del lavoro e così la crescita del livello di disoccupazione, l’aumento del lavoro irregolare e la perdita di competitività. Diversamente, se la soglia venisse fissata a un livello decisamente più basso, gli Stati economicamente meno sviluppati manterrebbero un certo spazio di manovra per portarsi al livello stabilito, ma con il rischio di una contrattazione al ribasso per i lavoratori dei Paesi più ricchi rispetto ai Paesi che ricchi lo sono meno”.