Sanità privata, Campania sull’orlo del baratro: a rischio oltre mille imprese

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Sono tutte a rischio le imprese della sanità privata in Campania. È precario lo stato di salute di laboratori e centri di ricerca dopo il raggiungimento dei tetti di spesa 2015 per la copertura dei servizi in convenzione. Il crollo del fatturato che colpisce le aziende mette in bilico oltre mille attività e fa scattare l’allarme rosso per circa 7mila unità tra personale sanitario e amministrativo. Il settore della sanità privata ha un peso specifico considerevole in Campania perché gestisce il 35 per cento del totale delle strutture tra ospedaliere, specialistiche e riabilitative. In generale la spesa sanitaria della Campania, con una incidenza del 10 per cento sul prodotto interno lordo, è superiore alla media nazionale che raggiunge quota 7 per cento. Diverso il discorso della spesa pro capite per la sanità privata: in Campania è di 1.600 euro l’anno contro i 1.700 euro del Sud, i 1.900 euro del Centro/Nord e i 1.800 euro della media nazionale. Vincenzo D’Anna, presidente di Federlab (oltre 700 imprese associate) e senatore della Repubblica, spiega al Denaro che una soluzione per superare l’attuale stato di difficoltà generato dal raggiungimento dei tetti di spesa c’è.Vincenzo DAnnaSi possono investire i 300 milioni di euro risparmiati dalla giunta Caldoro e tamponare così l’emergenza, ma questa decisione la può prendere solo il nuovo commissario regionale alla Sanità di cui attendiamo la nomina a breve. Per il futuro bisogna però programmare meglio il fabbisogno delle singole prestazioni”. Il problema principale risiede però nello stato di salute delle aziende. “Le strutture private sono sull’orlo del fallimento – dice D’Anna -. Molte hanno già venduto a grossi potentati svizzeri e tedeschi che stanno facendo incetta di aziende a scapito delle professionalità e delle opportunità imprenditoriali che sono originariamente campane. Almeno una trentina sono state vendute, c’è chi resiste ancora ma i tetti di spesa sono totalmente insufficienti poichè sono riferite a una mancata programmazione”. Il presidente di Federlab ricorda che “l’ultima programmazione risale al 2001 ma, intanto, c’è un incremento fisiologico del 3 per cento, con l’aumento di costi dovuto anche all’introduzione di nuove metodiche diagnostiche, soprattutto in radiologia e in genetica clinica”. Cosa fare allora per invertire la tendenza? “La prima mossa è una corretta programmazione del fabbisogno di prestazioni – dichiara D’Anna – e la si può ricavare facilmente poiché noi abbiamo l’Arsan che è in grado di sapere ogni singola amministrazione e ogni singola struttura che cosa produce – spiega il senatore -. Le strutture a gestione statale, violando le leggi, non comunicano al Mef, l’attività sanitaria. Noi conosciamo, in pratica, cosa produce la sanità privata ma non quella pubblica. Se noi obbligassimo le Asl a rispettare la legge e avessimo una conoscenza complessiva delle prestazioni potremmo ragionare su uno stanziamento che può bastare se abbiamo anche l’accortezza di introdurre protocolli diagnostico terapeutici in modo da evitare l’inappropriatezza di alcune prestazioni. Il vero risparmio è non erogare ciò che non serve”. Intanto molti fanno ricorso alla cassa integrazione. “Va tenuto conto che molte strutture hanno deciso di ricorrere alla cassa integrazione speciale che è a carico della Regione, ovvero dello Stato – sottolinea – Il paradosso è che lo Stato nega una cosa da un lato e poi la elargisce dall’altro sotto una diversa forma”.