di Rosina Musella
Un periodico cartaceo e un movimento culturale: questo è Scomodo. Nato a Roma nel 2016 dalle menti di Tommaso Salaroli e Edoardo Bucci, oggi conta altre tre sedi in Italia, tra Milano, Torino e la neonata redazione di Napoli.
“Con l’esperienza di Scomodo vogliamo diffondere tra i nostri coetanei una coscienza comune del possibile” sono le parole di Tommaso Salaroli, fondatore della rivista che ogni mese conta 70 redattrici e redattori e 15 tra illustratori e grafici. Al mensile cartaceo, che si può ricevere a casa sottoscrivendo uno dei piani di abbonamento presenti sul sito del progetto, si aggiunge la pubblicazione annuale “Presente”, che offre una narrazione nuova, più fresca, delle generazioni più giovani.
Scomodo, che vanta la redazione under 25 più grande di Italia, è una realtà no-profit che si sostiene con i proventi degli abbonamenti e di eventi sociali e culturali; tra le iniziative più conosciute ci sono le Notti Scomode: notti bianche della cultura organizzate nei luoghi abbandonati di Roma, nate per far conoscere il giornale e finanziare i progetti del gruppo. Inarrestabile anche durante la pandemia nel corso della quale continua a portare avanti il suo lavoro online e, quando possibile, dal vivo, nell’estate 2020 dà alla luce lo spazio multifunzionale “La Redazione”, nel cantiere di rigenerazione urbana Spin Time Labs di Roma.
Per l’occasione della nascita della sede a Napoli abbiamo intervistato Ciro Amitrano, studente di Filosofia all’Università Federico II, da sempre appassionato al mondo dell’informazione, della politica e dell’attivismo, attualmente responsabile locale di Scomodo a Napoli.
Perché portare Scomodo a Napoli?
All’università ho cercato per anni una dimensione di attivazione che potesse incidere nella realtà universitaria, con l’obiettivo di creare una comunità che si interrogasse su certe questioni, ma percepivo una certa reticenza a ragionare insieme. Poi, con il primo lock-down, io ed un amico ci siamo chiesti perché non portare Scomodo a Napoli e in quel momento ho realizzato che attraverso un giornale giovanile si potessero canalizzare le energie verso un progetto comunitario attento alla vita di noi giovani e aperto ad incidere la realtà verso un cambiamento. Così, tramite amici in comune con i responsabili strategici di Roma, sono riuscito a portare a termine questa cosa e nel giro di qualche mese è nata la redazione locale.
Cosa intendete per “coscienza comune del possibile”?
Intendiamo la determinazione intenzionale, filosoficamente parlando, di uno spazio che non è lo spazio del reale, ma lo spazio del possibile. Lo spazio del reale è quello in cui la nostra generazione vive una molteplicità di contraddizioni e condizioni che abbiamo intenzione di cambiare per vivere una vita più stabile, serena, ma anche diversa da quella che i nostri genitori e nonni ci hanno lasciato. Lo spazio del possibile, invece, rappresenta quell’ambito di immaginario, di costruzione di una realtà in movimento.
A chi consiglierebbe la lettura di Scomodo?
A tutte quelle persone convinte che la propria città, il proprio paese, non abbia abbastanza spazi per i giovani e per l’espressione ludica, culturale, musicale. Come Scomodo vogliamo andare ad insinuarci in quei punti abbandonati delle nostre regioni, per costruire esperienze di comunità laddove c’era il deserto.
Perché “scomodo”?
Quando si legge, tendenzialmente, lo si fa da seduti, in una posizione comoda, ma questa comodità si riferisce anche alle tematiche di un testo. Noi definiamo una lettura “comoda” quando lascia lo status quo così come è, senza criticarlo, senza ambire a modificarlo per le future generazioni. Invece leggere scomodi, quindi leggere Scomodo, significa leggere un giornale che non lascia stare comodi, ma spinge ad attivarsi. L’invito ad essere scomodi vuole smuovere la costruzione di una comunità per il cambiamento, per creare dal basso.
Perché fondare un giornale cartaceo nell’epoca del digitale?
Il progetto cartaceo nasce dall’esigenza di inserirsi in controtendenza nel mondo del giornalismo che va sempre più verso la creazione di contenuti da un paio di minuti massimo di lettura, interrotti da annunci pubblicitari su spazi di ricerca online. Il giornalismo che si produce e riproduce all’interno di questa dinamica è un giornalismo il cui linguaggio si impoverisce sempre di più e, di conseguenza, si impoveriscono anche informazione e spirito critico. Questo è un processo legato al profitto: si scrivono testi sempre più brevi per dare più spazio alle pubblicità che vanno a finanziare gran parte dei progetti editoriali. Il nostro progetto, invece, vuole contrastare questa tendenza. I nostri articoli non sono da leggere in pochi minuti, ma sono più lunghi e questa lunghezza è paradigmatica per noi, perché vuole significare un differente approccio alla realtà e alle sue idee.