Non si trova nel Bazar delle Follie il nuovo imprenditorialismo, frutto di idee che sbocciano in scoperte, invenzioni e innovazioni, traducendosi poi in nuove imprese ad alimentare la produttività. Se questa catena non è in movimento, la produttività declina. Questo è il malanno di cui da troppo tempo soffre l’economia europea. L’ha denunciato dalle colonne del Financial Times del 3 marzo 2015 il premio Nobel in economia Edmund Phelps con queste parole: “Questo rallentamento è stato provocato dalla caduta dell’innovazione. Anche negli anni del dopoguerra, l’innovazione in Europa è stata debole secondo gli standard del passato. Nel 1960 rallentò di nuovo, lasciando il continente in gran parte dipendente dall’America per le nuove idee potenzialmente generatrici di ulteriore crescita della produttività. Tuttavia, nel 1970 l’innovazione americana, confinata alla Silicon Valley, scemò nel complesso. Il serbatoio dei trascorsi progressi americani da cui l’Europa avrebbe potuto attingere si restrinse a un filo e portò al rallentamento della produttività nel continente negli ultimi anni del decennio Novanta, e successivamente in Germania. In seguito alla crisi finanziaria, gran parte dell’Europa sta ancora soffrendo una crisi in aggiunta alla recessione post anni 1990. La crisi passerà, ma la caduta non sarà facile da superare. Il continente è in preda all’emorragia dei suoi migliori talenti. Ha bisogno di lottare per una vita economica degna di essere vissuta”. Il nuovo imprenditorialismo è immerso nell’ecosistema digitale che procede al passo della potenza computazionale che raddoppia ogni due anni. Scaricare online istantaneamente la musica, lasciarsi trasportare da un’auto che si guida da sola, condurre esperimenti con i big data attingendo a milioni di interazioni, diversificare il proprio portafoglio di istruzione e sviluppo della carriera, arricchire la funzionalità dei prodotti con l’Internet delle cose, monitorare in tempo reale salute e benessere: questi sono tra gli esempi più comuni del manifestarsi del nuovo imprenditorialismo. C’è da ampliare il campo della conoscenza per consentire al nuovo imprenditorialismo di offrire le suemigliori prestazioni. Come sosteneva lo scrittore italiano Alberto Savinio, “Più cose si conoscono, meno importanza si dà a ciascuna cosa: meno fede, meno fede assoluta. Conoscere molte cose significa giudicarle più liberamente e dunque meglio. Meno cose si conoscono, più si crede che soltanto quelle esistono, soltanto quelle contano, soltanto quelle hanno importanza. Si arriva così al fanatismo, ossia a conoscere una sola cosa e dunque a credere, ad avere fede soltanto in quella”.