Selfie mania? Selfish us.

I media si sono sostituiti al mondo di prima.

Anche se volessimo recuperare questo mondo di prima

potremmo farlo soltanto con uno studio intenso di

come i media lo hanno inghiottito.

Marshall McLuhan

Susan SontagL’altra mattina mi sono svegliato presto, ho acceso la radio ed una bella voce di conduttore, mi parlava di Stephen Shore e della sua fotografia, degli anni ’70. Le sue immagini a colori, di un progetto, Uncommon Places, che coglievano parcheggi lunari sperduti, vecchi distributori di benzina, interni di motel, strade cittadine che non sembrano portare da nessuna parte. Shore realizza delle cartoline vuote, in cui manca il centro oppure il bello naturale. Poi, il conduttore passa a parlare di Don DeLillo, di come questi abbia operato, nel suo famoso romanzo, Rumore Bianco, una riflessione sul fatto che si fotografi quello che tutti fotografano, ieri erano i monumenti e le cascate, oggi se stessi contro le cascate ed i monumenti, nei selfies. Si fotografa, dice DeLillo, per fotografare. A questa digressione del conduttore sui selfies, sono stato preso da uno scoramento, consapevole della verità dell’affermazione, che mi ha portato ad allargare il mio spettro di analisi. La riflessione di Borges, sulla sua cecità in una conferenza a Buenos Aires a fine anni 70, ci torna utile in questo. Ho preso una decisione, si dice il poeta, siccome ho perduto il mondo amato delle apparenze, debbo creare altro : debbo creare il futuro, ciò che succederà al mondo visibile, che in effetti ho perduto. Un’altra conferenza, quella dei Six memos for next millenium, di Calvino, sulla Visibilità aggiunge altri elementi all’analisi. Calvino, riporta lo Spiritus Phantasticus secondo Giordano Bruno: “Mundus quidem et sinus inexplebilis formarum et specierum (un mondo o un golfo, mai saturabile, di forme e d’immagini)”; e ritiene che attingere a questo golfo della molteplicità potenziale sia indispensabile per ogni forma di conoscenza. Se ho incluso la Visibilità, nel mio elenco di valori da salvare, dice Calvino, è per avvertire del pericolo che stiamo correndo, di perdere una facoltà umana fondamentale: il potere di mettere a fuoco visioni ad occhi chiusi, di far scaturire colori e forme dall’allineamento di caratteri alfabetici neri su una pagina bianca, di pensare per immagini. Roland Barthes, a conclusione del suo libro, La Camera Chiara (Nota sulla fotografia), degli stessi anni, scrive: “l’altro mezzo per far rinsavire la fotografia, è di generalizzarla, gregarizzarla, banalizzarla, al punto che di fronte a lei non vi sia nessun’altra immagine rispetto alla quale essa possa spiccare, affermare la sua specialità, il suo scandalo, la sua follia. Questo è appunto ciò che accade nella nostra società, in cui la Fotografia schiaccia con la suacalvino1 tirannia le altre immagini: niente più stampe, niente più pittura figurativa, se non ormai per affascinata (ed affascinante) sottomissione al modello fotografico.” E poi leggo, sempre degli anni 70, dal saggio L’Eroismo della Visione, di Susan Sontag, incluso nel bellissimo testo Sulla Fotografia :”Molte persone, quando stanno per essere fotografate, sono in ansia, ma non perché temano, come i primitivi, di essere violate, ma perché hanno paura della disapprovazione della macchina. Vogliono un’immagine idealizzata: una fotografia nella quale appaiano al meglio di se stessi.” Insomma, quattro magnifici intellettuali, degli anni 70, sono venuti in mio aiuto a sciogliere quel senso di scoramento, che mi aveva preso, a farmi comprendere quanto quello che loro avevano individuato, in quegli anni, come caratteristiche della fotografia, abbiano finito per divorare la Fotografia stessa, in quella forma di espressione puramente selfish che è il selfie.