Senza governo l’economia migliora (almeno così sembra)

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A due mesi, ormai, dalle elezioni la claudicante economia dell’Italia non sembra risentire dell’assenza di un governo nel pieno dei poteri. D’accordo, è scandaloso che i partiti non riescano a trovare un’intesa per dare un esecutivo al Paese e, però, i più recenti dati macroeconomici non sembrano registrare tale situazione negativamente. Anzi. Si paventano nuove elezioni, ma i mercati finanziari non sembrano farci caso. Lo spread, per dire, tra Btp e Bund (ricordate il killer dell’ultimo governo guidato da Silvio Berlusconi?) si muove in un range di inopinata tranquillità (al momento della scrittura di questa nota segna 121 punti base, addirittura in ribasso dello 0,17%), la disoccupazione è al minimo da fine 2011, il pil rallenta di uno zero virgola ma tutto sommato è nelle attese dei documenti programmatici: insomma, la flessione dell’economia, se c’è, è tendenziale non strutturale.
Magari – vien da pensare – si ripete per il Belpaese quello che all’epoca (ma si tratta soltanto di due anni fa) fu definito il “paradosso Spagna”. Nonostante due elezioni, infatti, nel 2016 a Madrid regnava lo stesso stallo che si registra oggi a Roma. E la situazione andò avanti così per circa un anno. Come poi è finita è sotto gli occhi di tutti: il primo ministro Mariano Rajooy può vantarsi di guidare un Paese che corre (il pil è al 3%), che ci ha pure superato, ed è in predicato addirittura di accelerare ulteriormente.
Insomma, delle rappresentazioni grottesche che vanno in scena nei palazzi della politica romana non è il caso forse di farne un dramma. Ma da qui ad essere ottimisti, però, ne corre. La fortuna può aiutare, ma non può assurgere a strategia politica per affrontare i problemi che, intanto, ci sono e aspettano di essere responsabilmente risolti da una classe politica all’altezza del compito che si è dato.
Torniamo al Pil, per esempio. Rispetto al picco del primo trimestre 2008, l’economia italiana è ancora sotto del 5,5%. Dopo dieci anni di crisi il fossato non è stato ancora colmato. E c’è di più. C’è da considerare, infatti, che l’economia dell’UE sta perdendo forza nel primo trimestre a causa delle tensioni commerciali con gli Usa, sicché presenta dati più deboli sul prodotto interno lordo (PIL) del primo trimestre, che comunque restano positivi: q/q:+ 0,40% e a/a:+ 2,50%. E l’Europa è il primo mercato di sbocco per la nostra fragile economia.
E torniamo, per un attimo, anche al tema occupazione. Un’interessante fotografia scattata da Unioncamere e InfoCamere ci informa che nel Belpaese sta per essere archiviato anche il mondo del “piccolo è bello”, vale a dire di quella imprenditoria artigiana che tutto il mondo ci invidia. In alternativa, magra consolazione, ci sono sempre più imprese di pulizia, tatuatori, giardinieri, agenzie per il disbrigo delle pratiche. Certo, anche meccanici industriali, sarti per cerimonie, panettieri e pasticceri. Ma è il mondo della genialità che sta scomparendo, insieme alla grande industria.
Né va meglio per i laureati. D’accordo, migliora (lievemente) la percentuale dei giovani laureati italiani che risultano occupati entro tre anni dal titolo, ma il nostro Paese resta pur sempre molto indietro rispetto all’Europa. Nel 2017 – secondo Eurostat – risultavano occupate il 58% delle persone under 35 che avevano terminato l’educazione terziaria a fronte, però, dell’82,7% nell’Ue a 28.
Peraltro, quello che ai nostri occhi può apparire positivo è letto esattamente al contrario proprio dall’osservatorio di Bruxelles. Gli sforzi strutturali fatti dall’Italia per il 2018 “sono pari a zero, questi sono fatti che emergono dalle nostre previsioni e possiamo anche trarne delle conclusioni in termini di sorveglianza dei conti ma non è una lezione da trarre oggi, ne parleremo nel pacchetto di primavera” del 23 maggio”, ha tagliato corto il commissario agli affari economici Pierre Moscovici rispondendo a chi gli chiedeva se l’Italia avesse fatto lo sforzo di 0,3% che la Ue aveva chiesto al Governo. Moscovici ha anche aggiunto che con i “venti di coda in calo e l’output gap che si chiude, la crescita del Pil verrà moderata a 1,2% nel 2019”. Insomma, alla fine va sempre peggio.
Ma si sa, il francese ci vede come fumo negli occhi noi italiani e questo, probabilmente, non è soltanto colpa dei deputati romani, ma anche e soprattutto di quelli che ci rappresentano a Strasburgo. Del resto, “mentre in Italia siamo più interessati a capire se nel Pd conta di più Renzi o Franceschini”, scrive il direttore de Linkiesta.it, Francesco Cancellato, “in Europa continua il lavoro sul prossimo quadro finanziario, al quale finiremo per accodarci senza averci messo becco. Se siamo irrilevanti in Europa è perché non ce ne frega niente”.
Ci interessa, però, la vicenda della colf della compagna di Fico.

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