Settembre, è tempo di Scuola: ridare dignità a docenti e studenti

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Settembre, andiamo. È tempo di scuola. E di caos. E di scioperi. Per il diritto allo studio e alla scelta della facoltà, ovviamente, come denuncia il caso degli studenti che si sono battuti contro il numero chiuso e l’hanno spuntata. Almeno alla Statale di Milano. E, per ora, alle facoltà umanistiche. Ma prima o poi – si può essere certi – la sentenza del Tar che ha dichiarato illegittimo il numero chiuso farà altre brecce.

E si sciopera, soprattutto, per la dignità dei professori. In 79 atenei è scattato infatti il boicottaggio del primo appello d’esami della sessione autunnale. I prof protestano contro il blocco degli scatti salariali. Chiedono, insomma, l’adeguamento dello stipendio, che spesso è da fame se rapportato ad altri dipendenti dello Stato. Inutile ricordarvi quali. “L’anno scolastico comincia così: poche idee, ma confuse. Un pasticcio generale, che ovviamente genera un bisticcio universale” ha scritto il costituzionalista Michele Ainis sulla Repubblica. Come dargli torto.

Si pensi al caso vaccini e alla tentata insubordinazione in materia della Regione Veneto. Si pensi alla rinnovata protesta dei docenti delle scuole dell’obbligo che la raffazzonata gestione della legge 107 ha forzatamente trasferito spesso a centinaia di chilometri da casa, smembrando famiglie e creando inenarrabili disagi (a cominciare da quello economico). Si pensi al consueto balletto delle assegnazioni e alle ridottissime (rispetto alle attese) liste dei pochi fortunati e dei molti esclusi pubblicate dagli uffici degli ex Provveditorati appena il giorno prima della partenza.

Eppure i posti ci sono, vanno solo organizzati e gestiti al meglio. Almeno così sembra. Diversamente non si spiega che, al suono della prima campanella – prevista, come si sa, fra una settimana – già si sa che occorreranno 100 mila supplenti per sopperire alle carenze d’organico delle medie e dei licei, in particolare per la matematica ed il sostegno. E ancora non si decide sul da farsi. Alla faccia della Buona scuola, verrebbe da dire.

In questi giorni, sui giornali e sui social, è infinito il rosario delle pene di mamme e papà “emigrati” che – per colpa di un andazzo che si trascina da tempo – soltanto in tarda età hanno potuto brindare alla fine di una condizione lavorativa inopinatamente precaria. Storie di casi umani cui si somma – aspetto non secondario – sempre quello economico. Un docente della Buona scuola guadagna intorno ai 1400 euro. Con questo stipendio ci deve campare la famiglia, quasi sempre al Sud, pagare i biglietti del treno, l’alloggio ed il vitto nella sede decisa, non si sa bene da chi, se da uno stupido algoritmo o da una bolsa burocrazia. In ogni caso i conti non tornano. Chissà se i ministri sedicenti riformisti e i burocrati di  via Trastevere hanno provato mai a farli. Dubito.

Ha scritto ancora Ainis: “Da qui una prece, a mani giunte e con la testa china: restituite ai docenti italiani la propria dignità perduta. Senza sbattere la porta sul muso agli studenti, dato che la scuola dev’essere inclusiva. E senza strangolare l’istruzione con leggi cervellotiche, armate l’una contro l’altra. In sintesi: meno riforme, più quattrini”.

La tematica della scuola, almeno nei termini in cui sta emergendo in questi giorni, incrocia inevitabilmente ancora una volta quello dell’occupazione e del Sud. Nel senso che – come ha rilevato il professore Gianni Balduzzi su Linkiesta.it – il dato che emerge dall’analisi dei dati più recenti “i giovani sono sempre più precari e gli anziani sempre più disoccupati”. E, giusto per restare in tema, nel nostro “Paese non si assiste certo a una corsa a iscriversi all’università: siamo contemporaneamente tra i Paesi con meno laureati e con meno giovani lavoratori, per questo gli indicatori relativi all’occupazione tra i giovanissimi rimangono indicativi di una congiuntura.

Così come non può passare inosservato un articolo di Severino Nappi, ex assessore regionale al Lavoro con la Giunta di centrodestra guidata dall’ex socialista Stefano Caldoro, e attualmente consigliere regionale e responsabile nazionale di Forza Italia per le Politiche per il Mezzogiorno, secondo cui “nonostante l’ottimismo Istat al Sud va sempre peggio”. E aggiunge: “Occupazione, investimenti, sistema bancario, infrastrutture, università: da qualsiasi lato la si guardi, la situazione nel Meridione è sempre più grave. Occorre ripartire dalla classe dirigente”.

Appunto. È quello che tutti pensano.