Si misura a Piazza Affari la salute del Governo

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Il Ftse Mib venerdì ha chiuso la seduta a 18.657 punti, registrando un +2,57%. Ma una rondine non fa primavera, si dice. Sempre ieri, infatti, il Ftse Mib ha chiuso la settimana di borsa (in gergo, ottava) con un -1,95%. E sarebbe, tutto sommato, nella norma dell’andamento ondulatorio dei mercati, questa perdita, se non la rapportassimo al bilancio mensile. Sempre il Ftse Mib, infatti, ieri ha chiuso il mese di Gennaio con un pesantissimo -12,89%. Un calo, è appena il caso di precisare, che nella fase più difficile era giunto addirittura a -16,73%. Insomma, sottolineano gli analisti, se il mercato azionario scende in modo così marcato e prolungato in un periodo dell’anno che statisticamente, peraltro, è in genere favorevole, è evidente che qualcosa non va. E non solo a livello globale, di cui Piazza Affari risente – nel bene e nel male – umori e effetti. Insomma, la causa dell’andamento negativo della borsa di Milano non può essere unicamente ricondotta al corso del petrolio, alla bolla della Cina o al raffreddamento complessivo delle economie BRIC (Brasile, Russia, India e, appunto, Cina). Stiamo parlando – è vero – del principale indice di benchmark dei mercati azionari della settima economia mondiale. Un indice – giusto per dare una precisa indicazione a quanti non masticano di finanza, del peso che il Ftse Mib rappresenta nell’ambito del sistema economico nostrano – che rappresenta circa l’80% della capitalizzazione di mercato interno ed è composto da 40 società di primaria importanza e a liquidità elevata nei diversi settori ICB (Industry Classification Benchmark). In poche parole, della vetrina del sistema economico del Paese. O del Paese tout court, per dirla in breve. Sicché, alla base delle turbolenze che hanno interessato Piazza Affari non può essere del tutto estranea l’azione del governo o, comunque, la reputazione che, attraverso i mass media, l’opinione pubblica percepisce. E l’immagine restituitaci, in particolare, dai più recenti episodi di malcostume non fa certo onore alla classe dirigente del Paese: dalla vicenda della zuffa dei 50 membri della delegazione italiana per accaparrarsi i Rolex regalati dal governo saudita nel corso della missione diplomatica e commerciale a Riad, alle vicende politico-familiari della Banca Etruria. Episodi che fanno il paio, ahinoi, con la classifica della corruzione che vede l’Italia al 61esimo posto nel mondo e avendo, nell’Unione europea, dietro di sé solo la Bulgaria. Così come di certo non aiutano le decisioni – ma non si sa bene prese da chi – di mettere i veli alle statue dei Musei Capitolini, in occasione della visita del presidente iraniano Hassan Rouhani a Roma, per non offenderne la sensibilità (sic). Né restituisce buona reputazione la soluzione dell’accordo (garanzia dello Stato sì, ma a pagamento) raggiunto con la Commissione europea per la costituzione della bad bank a proposito dei crediti deteriorati; o i risultati portati a casa (praticamente, cedimento su tutta la linea) dal premier a conclusione dell’incontro con il cancelliere tedesco Angela Merkel. Non a caso, del resto, tornando alla borsa, a più riprese, nei commenti degli opinionisti è stata rievocata la tempesta finanziaria che nel 2011 affossò il governo Berlusconi, mentre il Financial Times, con i toni dell’avvertimento, è arrivato addirittura a scrivere: “Attenti, uno tsunami finanziario sta per travolgere l’Italia e il governo Renzi non è attrezzato per reggere l’onda devastante della nuova crisi. Per questo, siete destinati a uscire dall’euro, con tutto quello che ne consegue”. Parole che hanno riecheggiato le stesse pronunciate dal presidente della Commissione Jean-Claude Juncker appena l’altra settimana. In questo clima, dunque, ad alleviare la sensazione di diffuso disagio che si insinua pure nelle nostre menti, non serve sapere che a novembre l’industria italiana ha fatto il pieno di ordini mettendo a segno un +12,1% rispetto allo stesso mese del 2014. Né che Apple si appresta a creare a Napoli 600 nuovi posti di lavoro, come, con il solito twitter, lo stesso presidente del Consiglio Matteo Renzi ha annunciato urbi et orbi. Anche perché è una bugia, su cui peraltro aleggia un odioso sospetto. Lo scambio di un ambiente per consentire a 600 studenti di sviluppare nuove app a fronte di uno sconto del 60% agli 880 milioni di euro pretesi dall’Italia per evasione fiscale da parte del colosso di Cupertino.