Smart working: rivoluzione portata dal virus, ma sappiamo gestirlo in termini di stress?  

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Aziende e pubbliche amministrazioni per limitare il diffondersi dell’epidemia hanno dovuto fare di necessità virtù al tempo del lockdown, adottando lo smart working: lavoro da remoto, dimostrando che si può lavorare da casa. Così in molti dipendenti dalle zone rosse, epicentro dell’epidemia, sino al Sud Italia e passando per il centro del bel paese, sono finiti in smart working pur tra mille iniziali difficoltà. Ammettiamolo, molti di noi, con l’inizio della pandemia, non pensavano che sarebbero riusciti a lavorare bene – o quasi- anche da casa. Uffici con flussi di lavoro, rapporti umani e ravvicinati, programmazioni, riunioni, sembrava tutto lontano e impossibile da riadattare all’era digitale. Eppure ce l’abbiamo fatta. Con tempo, pazienza, spirito di adattamento e con un approccio meno diffidente verso i contenuti digitali. Così abbiamo iniziato a sperimentare nuove idee: riunioni in conference telefoniche o in modalità videochiamata, linee telefoniche dedicate all’utenza, progetti che iniziavano a prendere anima e corpo ma questa volta sotto la spinta digitale. Comprendendo che alla base di tutto ci fosse l’innovazione, quale chiave su cui ruoteranno anche i cambiamenti futuri. Innovazione che ha trasformato il lavoro. La giornata di ognuno di noi, prima scandita secondo precise abitudini, ora si interseca con le esigenze di vita: a casa bisogna lavorare e occuparsi del menage familiare.  L’innovazione digitale ci consente di restare connessi e di gestire il tempo in base alle necessità che anch’esse sono cambiate, ribaltando il tradizionale paradigma della rivoluzione industriale: il lavoratore era pagato per le ore che metteva a disposizione, ora si è pagati per obiettivo. Certo, lo smart working può essere diverso per settori lavorativi e non può essere applicato a molte professioni, in alcuni casi bisogna alternarlo al lavoro in presenza o comunque rimodulare gli obiettivi, insomma, una sfida continua che si trasforma in opportunità futura.
Se c’è un aspetto futuristico ed innovativo, d’altra parte c’è anche una domanda di fondo.
Ma lavorare da casa è davvero meno stressante che andare in ufficio tutti i giorni? Per alcuni sì, ma non per tutti. La sfida digitale del lavoro al tempo della pandemia molti l’hanno vissuta come una nuova avventura che ha spinto a nuove idee adattandole al difficile momento storico. Altri, invece, descrivono lo smart working come una connessione costante, fatta di web e telefonate ad ogni ora del giorno e anche della sera, come un’infinita catena di montaggio.
C’è chi in smart working si trova a suo agio, e si scopre super produttivo, e chi invece fatica a trovare la motivazione e a organizzarsi, aumentando così la pressione delle cose da fare che si accumulano. Secondo uno studio condotto a fine 2018 dalla Baylor University, lavorare da casa non è da tutti, adattabile solo a persone che hanno determinate personalità. I ricercatori hanno scoperto che i dipendenti più adatti a lavorare da casa erano quelli che avevano autonomia, capacità di lavorare bene in modo indipendente, e anche una certa stabilità emotiva. Insomma, per le persone giuste, lavorare da casa potrebbe aumentare addirittura la produttività e ridurre lo stress. Infatti, sarebbero persone in grado di equilibrare le loro giornate ed i loro ritmi di vita, facilitando una sana e corretta alimentazione, imparando a dosare nel miglior equilibrio lavoro e vita privata.  Di conseguenza, mangiare più sano e avere più tempo da trascorrere con la famiglia e gli amici può aiutare a sentirsi meno stressati, il che renderà una giornata lavorativa produttiva e felice.
Senza dubbio il lavoro agile è arrivato prepotente in un momento già difficile psicologicamente ed emotivamente, cogliendoci impreparati, ma era impossibile non accettare questa nuova sfida, anche perché univa il lavoro – che da sempre ci rende umani- con il diritto alla salvaguardia della salute. Una sfida che da Nord a Sud sembra abbiamo colto anche con successo e la pensione per lo smart working almeno per il momento sembra lontano, seppur nella “fase due” bisognerà apportare correzioni e miglioramenti al modello organizzativo non solo sotto l’aspetto tecnico (piattaforme, gestione dei dati personali) ma anche l’introduzione al diritto alla disconnessione, che di base però dovrebbe avere quella che viene ribattezzata dall’America “work life balance” la cultura della ricerca del sano equilibrio tra vita lavorativa e vita privata. In altre parole, imparare a non rispondere alle email se arrivano dalle ventuno in poi. Imparare che è consuetudine rimandare al giorno dopo.
E voi da che parte siete in questa era che si è affacciata allo smart working?