Stato di necessità medica

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Movimenti religiosi alternativi: il caso dei testimoni di Geova

“Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sè od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, nè altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo. […] ” , così il legislatore del 1930 ha disposto all’articolo 54 del codice penale tuttora vigente. La ratio della norma è chiara: “necessitas non habet legem”.
Lo stato di necessità di cui parliamo rientra tra le cause di giustificazione, ossia norme non squisitamente penali, in presenza delle quali il fatto viene considerato lecito per l’intero ordinamento.
Nel rispetto dei presupposti esplicitamente indicati dalla legge – il pericolo attuale involontario e inevitabile, il danno grave alla persona, nonché la proporzionalità tra fatto necessitato e pericolo determinato dalla situazione necessitante – l’ambito di operatività della norma è chiaro.
Questi stessi presupposti ricorrono talvolta con riferimento all’attività medico chirurgica, laddove però l’applicabilità dell’esimente risulta più complessa, in particolare quando il paziente appartenga a movimenti religiosi alternativi.
Ci riferiamo alla più comune setta dei testimoni di Geova, i quali nell’ossequioso rispetto del testo sacro, rifiutano cure mediche quali le pratiche emotrasfusionali (Genesi 9:4).
Quale, dunque, l’atteggiamento del medico che si trovi costretto a dover effettuare in stato di necessità una trasfusione di sangue ad un testimone di Geova?
Il medico, dove possibile, deve necessariamente individuare soluzioni di cura che non prevedano l’utilizzo di sangue ovvero deferire il caso a strutture sanitarie dotate di specialisti in materia; laddove ciò non sia possibile la Cassazione civile ha sostenuto un generale diritto del paziente di non curarsi, anche quando a tale rifiuto possa seguire la morte, qualora però il dissenso sia espresso, inequivoco e attuale. Non sono considerati eloquenti il tal senso i cartellini con l’indicazione “niente sangue”.
Una sfaccettatura del caso più complessa riguarda l’ipotesi in cui il paziente, se pur a seguito di un primario rifiuto espresso di cure mediche, precipiti in una situazione di incoscienza a seguito di un peggioramento delle sue condizioni di salute. Si è espressa a riguardo la sentenza n°. 4211/07 la quale ha attestato la fruibilità della scriminante ex art. 54 c.p. per il medico che aveva sottoposto ad apporto di sangue un paziente Testimone, il quale, durante l’aggravarsi della malattia, non era stato in grado di reiterare il suo dissenso espresso al momento del ricovero.
L’ipotesi più delicata riguarda però i casi in cui i testimoni di Geova siano soggetti minorenni e in quanto tali, privi della capacità di agire, se non per interposizione di altri soggetti. Fino al diciottesimo anno, la tutela del minore spetta al genitore, il quale può porre validamente in essere atti idonei ad incidere sulle situazioni giuridiche del figlio. I Testimoni genitori, infatti, desiderano esercitare il diritto al consenso informato a favore dei propri figli, e in caso di emotrasfusione necessaria, manifestano il loro rifiuto a tale pratica medica per non contravvenire all’imperativo del loro credo religioso. La giurisprudenza in materia è scarsa, ma la legge è chiara: dovranno essere attivate le procedure previste dagli artt. 330 e 333 del codice civile con l’intervento del giudice tutelare. Quest’ultimo interviene a sospendere la patria potestà del genitore sul figlio e il tutore nominato autorizza la trasfusione.