Stop alle tasse sugli affitti non percepiti, ecco i casi

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Novità su tasse e morosità dell’inquilino. Stop al pagamento delle tasse sui canoni di affitto non materialmente percepiti dal locatore, a condizione che quest’ultimo dia puntuale prova di tale circostanza all’ufficio del fisco. È questa la nuova indicazione trasmessa dall’Agenzia delle Entrate a fine luglio, che spezza quel rigido orientamento, degli anni passati, secondo cui il contribuente, pur in presenza di morosità da parte dell’inquilino, avrebbe comunque dovuto riportare, in dichiarazione dei redditi, i canoni di locazione non percepiti. Secondo la legge, infatti, i redditi fondiari concorrono a formare il reddito del proprietario dell’immobile anche se non corrisposti dal conduttore. L’articolo 26 del Tuir dispone, infatti, che i canoni di locazione di immobili abitativi risultanti dal contratto non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore. L’esclusione dalla tassazione opera limitatamente all’ammontare dei canoni che il giudice ha accertato come non riscossi. (La legge 9/2007 ha previsto in via generalizzata la sospensione delle procedure esecutive di sfratto fino al 31 dicembre 2014. In questo caso scatta l’esenzione dal reddito per il periodo in cui opera la predetta sospensione. Tale agevolazione si applica nei comuni capoluoghi di provincia, in quelli confinanti con popolazione superiore a 10mila abitanti e ad altri comuni a forte tensione abitativa). In materia di affitti la circolare n. 11/E/2014 dell’Agenzia delle Entrate aveva precisato che “per le locazioni di immobili non abitativi (…) il relativo canone, anche se non percepito, va comunque dichiarato, nella misura in cui risulta dal contratto di locazione, fino a quando non intervenga una causa di risoluzione del contratto”. In buona sostanza, la questione (assai sfavorevole ai locatori) stava in questi termini: il padrone di casa doveva sempre pagare le tasse sui canoni di locazione, anche se non versati dall’inquilino moroso; ciò significava che tali redditi, benché non percepiti, andavano riportati comunque in dichiarazione dei redditi; per poter smettere di pagare le imposte sui canoni non percepiti, il locatore doveva alternativamente procedere: a) a una ingiunzione di sfratto (con relativi costi e tempi) oppure b) una risoluzione bonaria del contratto di locazione (il che implicava l’accondiscendenza del conduttore, non sempre facile da ottenere). Solo in presenza di una delle due condizioni, il padrone poteva smettere di riportare, nella dichiarazione, i redditi da locazione e vedere tassato il proprio reddito fondiario sulla scorta della semplice rendita catastale.

Le nuove indicazioni del fisco. In base alle indicazioni trasmesse dalle Entrate a fine luglio, gli uffici territoriali dovranno verificare, in contraddittorio con il contribuente (e non invece con i “paraocchi”) la documentazione e gli altri elementi esibiti da quest’ultimo a dimostrazione da cui risulti che questi non ha incassato gli affitti. Così, il padrone di casa che venga raggiunto da una accertamento fiscale, potrà presentare una istanza in autotutela e, in quella sede, dovrà essere chiamato a chiarimenti dall’ufficio che, quindi, gli dovrà dare la possibilità di provare la mancata percezione dei canoni. In tale sede il contribuente dovrà procurarsi la documentazione a dimostrazione dell’intervenuta risoluzione del contratto. Cerchiamo di comprendere quale tipo di documentazione potrebbe tornare utile.

Sfratto per morosità. Se il contribuente ha incaricato il proprio avvocato di procedere contro l’inquilino moroso, dovrà produrre copia del provvedimento del giudice di convalida di sfratto per morosità: sarà proprio dalla data di emissione di tale decreto di sfratto che si può considerare risolto il contratto di locazione a uso commerciale e, quindi, escludere dalla tassazione i canoni di locazione non percepiti.

Clausola risolutiva espressa. La cosa più facile da fare è di inserire, nel contratto di locazione, quella che viene detta “clausola risolutiva espressa”. In pratica, con l’inclusione di questa previsione, si stabilisce che, in caso di morosità, il locatore potrà risolvere automaticamente il contratto, senza quindi ricorrere al giudice, semplicemente comunicando all’inquilino una diffida con la quale dichiara di volersi valere della clausola risolutiva. In questo modo, nel momento in cui il locatore produce documentazione dalla quale risulta che si è avvalso della clausola risolutiva espressa, si può eccepire, davanti all’Agenzia delle Entrate, la risoluzione del contratto. È valida l’esibizione della raccomandata con avviso di ricevimento, in cui il locatore contesta al conduttore l’inadempimento e comunica di avvalersi della clausola risolutiva. Il locatore deve anche dimostrare che l’immobile è stato effettivamente rilasciato e non è più occupato dal conduttore: l’obbligo di dichiarare il canone di locazione viene meno dalla data del verbale di rilascio, a patto che le giustificazioni del contribuente risultino congiuntamente e sulla base di atti e documenti con data certa.

Termine essenziale con la diffida ad adempiere. Stesso discorso per la clausola che contenga il cosiddetto “termine essenziale” e che funziona pressappoco come la clausola risolutiva espressa: in questo caso il contratto contiene il riconoscimento del diritto, al locatore, in presenza di morosità da parte dell’inquilino, di inviare a quest’ultimo una diffida ad adempiere con l’assegnazione di un termine ultimo per adempiere (non inferiore a 15 giorni), spirato il quale il contratto si considera automaticamente risolto, senza passare dal tribunale. In conclusione: In presenza di morosità il contratto di locazione è risolto sia per effetto di una clausola risolutiva espressa, sia a seguito di diffida ad adempiere attraverso raccomandata anche senza ricorrere al giudice. Anche in questi casi il contratto di locazione si deve intendere effettivamente risolto (Corte Costituzionale sent. n. 362/2000). Tuttavia ai fini fiscali l’esclusione dalla tassazione riguarda i canoni risultanti nel contratto successivamente maturati al rilascio dell’immobile da parte dell’inquilino e non per quelli non percepiti precedentemente a tale data.