Tanti piccoli K di Bruno Pezzella, racconti che martellano il cranio

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di Fiorella Franchini

Se il libro che stiamo leggendo non ci sveglia come un pugno che ci martelli sul cranio, perché dunque lo leggiamo? L’intelligenza ossessiva di Franz Kafka fa capolino dietro il sipario dell’ultima pubblicazione di Bruno Pezzella, scrittore, saggista, giornalista e formatore. Anche il titolo allude all’autore praghese: Tanti piccoli K – Edizioni MEA, è il modo con cui Philip Roth definì i protagonisti dei racconti di Kafka, e ne sottace l’atmosfera popolata di “un’umanità persa e sconfitta”. La raccolta comprende innumerevoli palcoscenici narrativi mutevoli e labili, nei quali si muovono tanti “nessuno”, talvolta scialbi, maldestri, a volte disinvolti, ma tutti fragili, in balia dei propri dubbi di fronte a una realtà bloccata e inestricabile: Edu, Nino, Cocò, Elzeviro, Venicius, il “rospo”, Trek, la spogliarellista anoressica, l’assassina professionista, il terrorista deluso, il vecchio che sogna di aver ucciso il ladro, David e Philip, Giorgio Morin attore disoccupato, il musicista ucraino, il pulitore di pesci, Terence, la donna col cappello. Una narrazione introspettiva che scava nell’interiorità dell’individuo, una riflessione, a tratti anche ironica, sulla condizione esistenziale del singolo, in cui dominano l’inquietudine, lo smarrimento, il dolore. Vengono alla ribalta, pagina dopo pagina, storia dopo storia, i lacunosi aspetti inconsci della personalità. L’autore non è nuovo alla riflessione sulla dimensione umana, sa manovrare abilmente tra alienazioni, frustrazioni, perdite e turbamenti, impossibilità di raggiungere ciò che si desidera, sia che si tratti di saggi, sia che costruisca polizieschi e noir. Qualunque registro narrativo e linguistico egli utilizzi, i personaggi, uscendo dall’ombra,  diventano testimoni, ognuno a proprio modo, dello stato d’animo dell’uomo schiacciato tra l’angoscia e l’assurdo, del dramma in cui inutilmente si dibatte per cercare, non una soluzione alla crisi che sarebbe impossibile, ma una risposta che gli permetta di penetrare il senso di quello che gli succede. Con “Tanti piccoli K” Pezzella sceglie il racconto, genere letterario per eccellenza, per indagare queste profondità. Nonostante recenti studi confermino la progressiva labilità della concentrazione mentale, facendo presupporre un riscatto dei contenuti rapidi e compatti, il racconto non supera la diffidenza di editori e lettori, forse perché preferiamo immergerci in un ambiente vasto, seguirne le vicende, “vivere avventure lunghe”, conoscere a fondo i protagonisti. In realtà, scrivere bene utilizzando una forma breve in modo che non sia monca, che abbia un senso compiuto e perfetto, è difficile. I racconti di Pezzella appaiano tanti incipit, tranche d’avvio di storie irrealistiche quanto probabili e gli epiloghi, anche quando sembrano evolvere in un explicit, restano finali aperti come miraggi onirici in attesa di un risveglio, ma non deludono mai. Sicuramente essi richiedono un impegno maggiore per il lettore, non avendo dalla loro l’immersività del romanzo, tendono a essere letti in più tempo e in modo discontinuo, eppure smuovono l’empatia così che alla fine si vorrebbe che continuassero. La forma breve, per sua natura pluriforme e metamorfica, produce immediatezza e mistero, difformità, mancanza.  D’altra parte la scrittrice Rossella Milone ritiene che “il racconto, per come si compone e si forma la sua sostanza, vive di aspetti narratologici, suggestivi, stilistici e formali complessi, che richiedono immersione, profonda partecipazione e anche qualche competenza. Insomma, il racconto pretende che il lettore faccia uno sforzo e si tuffi in verticale, cosa molto contraria all’orizzontalità della fugacità”. Essendo un genere compresso, la narrazione di Bruno Pezzella punta sui dettagli, sull’economia delle parole e delle azioni in cui tutto ciò che arriva sulla pagina conta e, di conseguenza, se lo si tralascia, si perde anche il gusto di quel preciso racconto. Non a caso le vicende hanno sempre l’atmosfera di un thriller o di un mistery. Il tempo di lettura è minore, ma l’attenzione richiesta è maggiore perché quella frammentazione, gli inevitabili vuoti, l’essenza condensata, lanciano uno sguardo attraverso il mondo, o ne creano uno con pochi elementi essenziali, suggeriscono la verità ma la propongono obliqua. Lo stesso Kafka affermava: “ È difficile dire la verità, perché ne esiste sì una sola, ma è viva e possiede pertanto un volto vivo e mutevole.”  Tanti piccoli K è una lunga storia fatta di episodi spaesanti che lasciano i contorni indefiniti ed è faticoso ritrovarsi a riempire quegli abissi o girarci attorno, ma la letteratura si fa così, mescolando con sagacia parole scritte, interrogativi e suggestioni.