Teatro, al Nuovo di Napoli il debutto de “Le Serve”

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“Uno straordinario esempio di continuo ribaltamento tra essere e apparire, fra immaginario e realtà”. Sono queste le parole adoperate da Jean-Paul Sartre per definire Le serve di Jean Genet, che debutterà, mercoledì 25 ottobre 2017 alle ore 21.00, al Teatro Nuovo di Napoli, nell’allestimento presentato da Teatro e Società, Teatro Biondo di Palermo e Teatro Stabile di Catania. Scritta da Jean Genet nel 1946, Le serve traeva spunto da un fatto di cronaca nera degli anni ’30, che sconvolse l’opinione pubblica francese: l’uccisione di una ricca signora e della figlia da parte delle due domestiche. Genet lo prese a modello della sua farsa tragica, in cui due sorelle a servizio presso una ricca signora, che ogni giorno inscenano una pantomima in cui a turno si scambiano i ruoli di serva/padrona. Indossando gli abiti di “Madame” durante la sua assenza, e inscenando un finto omicidio della signora, tirano talmente la corda che sono costrette a provare a uccidere sul serio la loro padrona e, non riuscendovi, decidono di autoannientarsi. Le serve è stata anche pièce per grandi mattatrici nei passati allestimenti, così come si propone quest’edizione diretta da Giovanni Anfuso, che vede protagoniste Anna Bonaiuto e Manuela Mandracchia, nei ruoli di Claire e Solange, “serve” di mezza età dominate da un rapporto di amore e odio nei confronti della giovane ed elegante padrona, Vanessa Gravina, della quale, in sua assenza, scimmiottano comportamenti, indossano vestiti e gioielli in un grottesco gioco di immedesimazione, destinato a tracimare in un folle delirio di morte. “È una favola che diventa un rituale maledetto e insopportabile – spiega il regista – come tutto ciò che cerca di svelare la violenza profonda che vive in noi e determina la nostra cultura, la nostra psicologia, la nostra esistenza. È una cerimonia, come si ripete spesso nel testo: vi si celebra la dipendenza, l’odio, l’invidia, la sensualità della violenza e l’interscambiabilità dei ruoli. È una messa nera, un’invocazione sensuale del potere, un denudamento insieme fisico, morale e sociale”. Il testo è diventato, negli anni, un classico del teatro moderno, sia per i mille risvolti psicologici, in cui attrici e registi possono tirar fuori ognuno le proprie doti immaginifiche migliori, sia per la satira di una civiltà borghese che Genet vedeva già in disfacimento, e per la metafora di un’impossibile redenzione dei reietti, presi tra l’amore e l’odio, il desiderio di emulazione e di scalata sociale da un lato e la volontà di annientare i privilegi immeritati dall’altro, e quindi destinati fatalmente a soccombere.