Teatro, il Tram mette in scena il burrascoso rapporto con la pandemia

27

Si chiude la prima parte della stagione 2021/2022 del Teatro Tram di Napoli e ci si prepara a ridere e a sorridere, con i danni della pandemia sullo sfondo: dal 25 al 28 novembre andrà in scena “A lo stesso punto” presentato dal Teatro 99 posti di Avellino. Sul palco Paolo Capozzo e Maurizio Picariello (con Vito Scalia) interpreteranno due “zuorri”, due personaggi del teatro popolare, che si risvegliano all’interno di un teatro chiuso per la pandemia. L’unico modo che resta loro per sopravvivere è recitare, a modo loro, i personaggi del teatro contemporaneo. Il testo è di Paolo Capozzo, la regia è di Gianni Di Nardo.

Prisco e Mostino sono due zuorri di qualche vecchio copione teatrale di cui si sono perse le tracce. I due si svegliano in un teatro vuoto, abbandonato, e scoprono di essere stati letteralmente dimenticati. Il teatro è stato chiuso (per la pandemia) e loro sono rimasti lì, come fantasmi dentro un cimitero. Non hanno più un attore che li interpreti, un pubblico ad applaudirli. Tutte le battute che conoscono suonano vuote, sono vecchie, non li divertono più. La loro stessa esistenza è messa in dubbio.

Ma, proprio quando sembra che i due stiano per arrendersi al loro destino, rinvengono un vecchio faldone polveroso, all’interno del quale sono custoditi alcuni testi teatrali a loro sconosciuti. Finalmente Prisco e Mostino hanno nuove battute da dire, nuove imprese da compiere, una nuova strada da seguire. Forse è davvero l’unica possibilità: per non morire i due dovranno essere capaci di recitare altri copioni. Da qui prende inizio il viaggio dei nostri due Zuorri dentro le loro nuove esistenze. Diverranno i protagonisti di appassionanti trame e interpreti di alcune delle opere più significative del teatro mondiale (da Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, ad Aspettando Godot di Beckett, a Natale in casa Cupiello di De Filippo, e tanti altri), che però, deformate dalla incapacità e dalla inadeguatezza dei due, assumeranno colori surreali, a volte farseschi.

“Le domande che si fanno i nostri due protagonisti sono le stesse che hanno tormentato tutti noi durante il periodo di lockdown – spiega Paolo Capozzo -. ‘Ora che i teatri sono chiusi e non sembra esista una soluzione all’orizzonte, cosa sarà del nostro lavoro, dei nostri spettacoli, della nostra vita?’. Per sopravvivere (soprattutto psicologicamente) in quei lunghi mesi ci siamo inventati di tutto; con la stessa angoscia Prisco e Mostino decidono di abbandonare il loro vecchio copione e di ‘rinascere’ sotto altre spoglie. Per non morire devono diventare altri personaggi di altri testi teatrali. L’esito di questo tentativo è ovviamente fallimentare. I nostri due ‘eroi’ non sono in grado di essere ‘altro’ e la loro inadeguatezza deformerà anche le opere più grandi riducendole a ‘farsa pe’ lo popolino’. Rischiosa, ma inevitabile per noi, la scelta di usare una sorta di metadialetto irpino: una sperimentazione che portiamo avanti da un po’ di anni adoperando questa ‘lingua di scena’, inesistente nella realtà, che pur affondando le proprie radici in Alta Irpinia mescola diverse sonorità provenienti da vari luoghi dell’Appennino meridionale”.