Teatro, sul palco del Tram vittima e carnefice in “Stoccolma”

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Perturbante, esplicito e provocatorio: arriva al Teatro Tram, dall’8 all’11 dicembre, lo spettacolo “Stoccolma”, testo – finalista Premio Drammaturgia “Carlo Annoni” 2021 -di Antonio Mocciola, con Antonio De Rosa e Antonio Ciorfito diretti da Maria Verde, regista cinematografica che per la prima volta si “presta” al teatro.

È la storia di un rapimento dai contorni che potrebbero definirsi confusi: vessato e umiliato dal professore universitario che gli nega ripetutamente la promozione all’ultimo esame, quello decisivo per la laurea in Giurisprudenza, uno studente rapisce, sevizia e tiene nudo e in catene il suo aguzzinoIn un sottilissimo gioco psicologico, in cui sono in palio la liberazione, per il professore, e la promozione tramite il ricatto, per lo studente, il gioco delle forze, apparentemente in mano al giovane, si ribalta continuamente, finendo, come è inevitabile, nella sfera sentimentale. I due uomini si raccontano, si sfiorano, si detestano. Ma la Sindrome di Stoccolma, alla fine, prevale. Con conseguenze inimmaginabili.

Federico, l’allievo e Gianluca, il professore. Il primo, una specie di Barbablù in versione edulcorata; il secondo vittima, che instaura a tratti un rapporto di interdipendenza con il proprio carceriere.

Lo spettacolo ‘Stoccolma’ appare inizialmente come la sintetica immagine di un thriller d’autore, dove primeggia l’affermazione di uno spirito di rassegnazione e di rinuncia al vero – spiega l’autore, Antonio Mocciola -. Il rosso desiderio di vendetta, l’intimo dolore e l’insana paura di non essere all’altezza, accecano la ‘ratio’ e la sensibilità di un animo giovane, gettando un’ombra funesta sulla verità e la bellezza, connaturate nella sua stessa esistenza. Il respiro vitale di una età matura e socialmente affermata, ottenebrato da disattese evoluzioni di relazioni familiari, descrivono l’incapacità di una esistenza serena e di uno inadeguato proporsi nei rapporti interpersonali e professionali. Due anime che lottano per opporsi e contrastare un sentire, che non appartiene alla autenticità della bellezza della verità di una vita ‘normale’. Gli estenuanti e umilianti tentativi di sottomissione da un lato, e l’apparente accondiscendenza dall’altro, in cui il pudore e la vergogna quasi si annullano, conducono pian piano, vittima e carceriere nudi, uno di fronte all’altro, come davanti ad un specchio virtuale, in cui ognuno di loro, diviene soggetto e riflesso. Il “ritorno”, l’alleanza e la solidarietà… Un “filo” sottile che, si attorciglia e tesse una tela che incatena, unisce e rinvigorisce il desiderio di andare oltre ogni identificazione con la manifestazione umana, oltre il dolore, oltre la paura, oltre la mente”.