Trattamento fiscale applicabile agli indennizzi da clausole di garanzia nella cessione di quote

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di Riccardo Di Biase*

Un aspetto di particolare rilevanza in ambito di cessione di quote sociali riguarda il trattamento fiscale da attribuire a quelle “sopravvenienze”  che  possono realizzarsi in applicazione delle clausole eventualmente inserite all’interno del contratto ai fini di tutela delle parti. Come noto, nelle operazioni di cessione di partecipazioni o trasferimenti d’azienda le parti possono concordare delle pattuizioni finalizzate a trasferire sul venditore il rischio derivante dal verificarsi di eventi futuri che incidono sull’andamento economico-finanziario della società target successivamente alla conclusione del contratto.
Nella prassi, gli accordi prevedono degli aggiustamenti di prezzo per adeguare il corrispettivo della cessione al reale valore patrimoniale della società controllata. Tuttavia tali clausole possono prevedere o semplici adeguamenti del corrispettivo della cessione (clausole di aggiustamento del prezzo) oppure l’assunzione di un autonomo obbligo di indennizzo a favore dell’acquirente (clausole di dichiarazione e garanzia). Le prime attengono alla natura e alla fisiologia del negozio giuridico costituendo parte integrante dell’atto di cessione, mentre le seconde riguardano una fase patologica del rapporto consistendo nell’assunzione di un obbligo di indennizzo a favore dell’acquirente al fine di tenerlo indenne da eventuali passività  sopravvenute successivamente alla conclusione del contratto riferibili alla gestione societaria pregressa.
In tal senso, le clausole in questione necessitano di essere inquadrate  sotto un profilo civilistico per valutare quali siano gli effetti fiscali degli indennizzi corrisposti o incassati in applicazione delle stesse.
E’ importante quindi comprendere cosa succede nel caso in cui il  prezzo di cessione pattuito non corrisponda alla reale consistenza della società acquisita e come si procede sotto un profilo  fiscale in caso di corresponsione di un indennizzo in applicazione delle clausole di aggiustamento del prezzo e di garanzia.
Spesso l’operazione di cessione delle partecipazioni, che di fatto consiste in una cessione indiretta d’azienda, ha la finalità di incorporare da parte dell’acquirente l’azienda acquisita permettendo al venditore di fruire del regime agevolato di tassazione della plusvalenza previsto dall’art. 87 DPR 917/1986 (PEX). In quest’ottica l’attivazione delle clausole di aggiustamento dei prezzi si può avere anche successivamente all’operazione di fusione della società compravenduta e le rettifiche di prezzo a favore dell’acquirente andranno ad incidere non più sulle partecipazioni ma sull’avanzo o disavanzo che si genera dall’operazione.
Nel caso di indennizzo percepito dall’acquirente a fronte dell’eventuale realizzo di sopravvenienze passive da parte della società si ritiene sia necessario innanzitutto verificare quale sia la causa che sta alla base dell’inserimento della clausola nel contratto. In linea generale, a parere di chi scrive si sostiene che, nonostante tali clausole contrattuali siano connotate da una diversa natura sotto il profilo civilistico, da un punto di vista fiscale  gli indennizzi derivanti sia da clausole di aggiustamento del prezzo sia da quelle di garanzia debbano essere trattati allo stesso modo. Ciò significa che l’indennizzo percepito dall’acquirente dovrebbe  rettificare il costo della partecipazione in quanto rappresentativa di un minor valore patrimoniale della società che ha realizzato minusvalenze o sopravvenienze latenti. La sostanza dell’operazione sta infatti nel reintegro del prezzo pagato dall’acquirente.
Pertanto, non sarebbe  giustificato portare a tassazione l’indennizzo ai fini delle imposte dirette come anche specificato nella sentenza della C.T. Prov. di Mantova  del 22/11/2017 la quale afferma  che “è incontestato che nell”ipotesi in cui la passività e quindi l’aggiustamento del prezzo si fosse verificato nello stesso anno in cui il prezzo medesimo è stato corrisposto si sarebbe concretizzata in una minor debito verso altri finanziatori”.
Tuttavia la sentenza Cass.13/8/2020 ha stabilito che l’indennizzo incassato da una società in applicazione di un clausola di garanzia partecipa alla determinazione del reddito ai sensi dell’art. 88 TUIR il quale considera sopravvenienze attive anche “le indennità conseguite a titolo di risarcimento, anche in forma assicurativa, di danni diversi da quelli considerati all’art. 85 e 86 Tuir”. Seguendo quanto stabilito dalla Cassazione, si presume simmetricamente che quanto corrisposto dal venditore a titolo di indennizzo sia deducibile ai fini fiscali. Ad ogni buon conto è come se la clausola di garanzia fosse equiparata ad un indennizzo assicurativo e come tale portato a tassazione.
In quest’ottica la domanda che ci si pone è perchè inserire una clausola di garanzia all’interno di un contratto di cessione di quote sociali se all’attivazione della clausola l’indennizzo viene portato a tassazione equiparandolo ad un contratto di assicurazione?
Evidentemente la ratio delle clausole di garanzie risiede non tanto nel risarcimento di un danno cagionato all’acquirente, quanto nel tenerlo indenne per eventuali sopravvenienze realizzate dalla società le cui poste iscritte in bilancio prima dell’atto di cessione hanno trovato una  manifestazione economica in un momento successivo, tale che l’indennizzo previsto nel contratto costituisca una rettifica del prezzo pagato dall’acquirente. Questo comporterebbe, quindi, una diminuzione del valore della partecipazione iscritto in bilancio non rilevando ai fini reddituali ed, in questo modo, il minor valore della partecipazione, dato dal corrispettivo pagato al netto dell’indennizzo percepito, è rappresentativo del valore reale della società.
Del resto, con la riforma IRES del 2004 che ha introdotto il regime opzionale di trasparenza delle società di capitali, non è più possibile  operare una svalutazione fiscalmente rilevante delle partecipazioni che rappresentano perdite della società partecipata, per cui la questione controversa riguarda l’identificazione di un rapporto di collegamento tra tassazione di un indennizzo percepito e la sostanza fattuale che  tale  indennizzo  rappresenta dei minusvalori dell’azienda acquisita.
Il tema relativo al regime fiscale in applicazione delle clausole di garanzia non è comunque pacifico in quanto ancora oggi esistono posizioni differenti in dottrina e giurisprudenza.
Da una parte una tesi che  assimila gli indennizzi da dichiarazione e garanzia alle clausole di aggiustamento del prezzo, dall’altra posizioni che invece valorizzano i criteri di qualificazione civilistica degli accordi assimilando  le somme percepite agli indennizzi assicurativi e come tali soggetti a imposizione.
Gli orientamenti della giurisprudenza ritengono che la consistenza patrimoniale della società è altra cosa rispetto all’oggetto della garanzia legale cui il venditore è tenuto. Su questo tema la sentenza della Cassazione 17948/2012 ha sostenuto che le garanzie previste dal codice civile si attribuiscono ai diritti e obblighi delle parti in virtù del trasferimento della partecipazione ma non anche al valore economico della stessa in quanto non attinente all’oggetto del contratto. Di conseguenza, le clausole di garanzia prevedono l’obbligo di lasciare indenne l’acquirente ove si verifichino delle variazioni patrimoniali che non riguardano l’adempimento delle obbligazioni (cfr Cass. n.16963/2014). In altre parole, secondo la giurisprudenza, le clausole  di garanzia assolvono la funzione  di ampliare le garanzie contrattuali derivanti dal contratto di compravendita e come tali assimilabili agli indennizzi.
Evidentemente la diversa natura civilistica delle clausole importa differenze  anche dal punto di vista fiscale. In prima analisi comunque, sembrerebbe più corretto  ricondurre le clausole in questione a forme di rettifiche del prezzo assimilandole quindi alle clausole di aggiustamento.
Valorizzando quanto invece stabilito dalla Cassazione che statuisce l’imponibilità degli indennizzi da clausole di garanzia ci si chiede inoltre se tali sopravvenienze passive siano interamente deducibili per il venditore anche qualora abbia applicato il regime previsto dall’art.87 DPR 917/1986 sulla precedente cessione della partecipazione. Ai sensi dell’art. 109 comma 5 del TUIR “le spese e gli altri componenti negativi […] sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi”.Se si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi computabili e ad attività o beni produttivi di proventi non computabili in quanto esenti nella determinazione del reddito sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto di cui ai commi 1, 2, e 3 dell’articolo 96. Le plusvalenze di cui all’articolo 87, non rilevano ai fini dell’applicazione del periodo precedente”. In base alla norma sembra di poter ritenere che se la plusvalenza è “esente” in base all’art. 87 TUIR ed è stata assoggettata a imposizione nel limite del 5% del suo ammontare, anche le passività sopravvenute, in quanto riferite ad attività da cui derivano proventi parzialmente esenti, sono  deducibili nella misura in cui “i proventi hanno concorso a formare il reddito” non applicandosi  l’ultimo  periodo della norma alle plusvalenze PEX.
Tuttavia, secondo quanto previsto dalla Circ. Agenzia delle Entrate n.36/2004 le somme versate in applicazione delle clausole di garanzia potrebbero rientrare tra i componenti negativi deducibili inerenti ai costi relativi alla cessione delle partecipazioni tra i quali rilevano gli oneri specificamente collegati al realizzo della plusvalenza esente. Di qui si potrebbe ritenere che è possibile portare in deduzione integrale dal reddito del venditore la sopravvenienza relativa all’indennizzo corrisposto al compratore in deroga all’applicazione dell’art.87 TUIR.
Tuttavia sul tema non risultano documenti di prassi dell’Agenzia delle Entrate, ragione per cui secondo una tesi maggioritaria alle somme corrisposte dal venditore si applicherebbe la medesima disciplina della plusvalenza originaria a seconda che abbia concorso alla formazione del reddito ai sensi dell’art. 86 o 87 del TUIR, mentre altre tesi sostengono la piena deducibilità degli indennizzi da clausole di garanzia considerato che la loro manifestazione economica si realizza in un momento successivo rispetto al momento in cui si realizza l’effetto traslativo delle quote ed essendo obbligazioni autonome rispetto all’obbligazione principale.

*Dottore commercialista