Tsipras e l’Unione Europea

La maggior parte dei commentatori ha teso a condividere ed avvalorare l’opinione che la “povera Grecia” sia vittima di un forsennato programma di austerità imposto dalla Troika, orribile parola anche foneticamente. Si dimentica così la storia. Nel 2010 la Grecia era un paese che viveva ben al di là dei propri mezzi, con disavanzi annuali sia del bilancio statale che della bilancia dei pagamenti correnti dell’ordine del 10% del PIL. Un paese con evasione fiscale altissima, una pletora di dipendenti pubblici assunti per motivi clientelari e con età pensionabile attorno ai 55 anni, categorie superprotette. I disavanzi erano stati finanziati per anni grazie all’afflusso dall’estero di crediti bancari e proventi da emissioni di debito pubblico. Quando questi afflussi si sono improvvisamente arrestati, se non fosse intervenuta l’Unione Europea la Grecia sarebbe stata costretta ad una aggiustamento “istantaneo” e brutale: per mancanza di valuta per importazioni anche essenziali come medicine e carburanti sarebbe stato inevitabile il ritorno ad una dracma fortemente svalutata con conseguente inflazione galoppante e drastico taglio nel reddito reale di tutta la popolazione, in particolare dipendenti e pensionati. L’imponente programma di assistenza offerto dall’UE (240 miliardi oltre ai crediti della BCE) e dal Fondo Monetario hanno consentito alla Grecia di “spalmare” il necessario aggiustamento su più anni, con conseguenze assai meno traumatiche; ma il progressivo azzeramento del disavanzo pubblico ( e del gap tra import ed export) era inevitabile e non può essere attribuito alla “cattiveria” della Troika. Non sembra pertanto corretto, anche se elettoralmente redditizio, che Tsipras dichiari che non intende riconoscere gli impegni assunti da precedenti governi. Nel programma con cui Tsipras ha vinto le elezioni figura anche la “rinegoziazione”, in pratica la parziale cancellazione, del debito della Grecia verso i paesi dell’Unione Europea. Ma c’è già stato un default, che molti commentatori dimenticano persino di accennare, nel 2012 (chiamato elegantemente “haircut”) grazie al quale la Grecia ha “tagliato” circa 110 miliardi di debiti dovuti a banche e privati (molto più del default dell’Argentina. Con una popolazione di poco più di 11 milioni ogni greco, in media, ha beneficiato di 10mila euro ottenuti dall’estero e non rimborsati. Quaranta mila euro a famiglia! Il debito che la Grecia ha accumulato, anche dopo il default, dai paesi dell’Unione Europea, dal Fondo Monetario Internazionale, dalla BCE e dal mercato è vicino ai 400 miliardi che si rapportano a circa 30mila euro a testa per ogni greco. E’ difficile pensare che la Grecia sarà in grado di rimborsare questi debiti ma è anche difficile pensare che l’UE sia disposta ad effettuare nuovi esborsi ad un governo che dichiara di voler tagliare i debiti appena contratti. Negli Stati Uniti il governo federale non fa prestiti ai singoli stati; le città in difficoltà sono costrette a tagliare anche servizi essenziali e se “falliscono”, come nel caso di Detroit, vengono penalizzati non solo i creditori ma persino le pensioni dei loro dipendenti. Sotto questo aspetto la “coesione” tra stati dell’Unione europea, pur non avendo struttura federale, è molto maggiore considerando gli enormi prestiti erogati a sostegno di stati in difficoltà. Questo è stato possibile senza un parallelo salto verso un’integrazione politica perché questi aiuti sono stati erogati appunto, formalmente, come prestiti e non come sussidi a fondo perduto. Se si dovesse prendere atto che questi prestiti possano essere condonati e trasformarsi quindi anche formalmente in sussidi, sia pure ex post, la struttura stessa dell’Unione europea verrebbe rimessa in discussione: c’è la volontà di trasformarsi in un’Unione nella quale gli stati “ricchi” trasferiscono risorse a fondo perduto a favore degli stati “poveri”? Se non c’è questa volontà, come pare da escludere, la reazione ad un eventuale ripudio di debiti da parte della Grecia potrebbe andare in direzione opposta, cioè rendere gli stati “ricchi” assai più restii a sostenere con prestiti stati in difficoltà, anche indirettamente tramite la BCE. Per questo il caso della Grecia è assai rilevante, al di là delle dimensioni di quella economia. Se vuole restare nell’euro Tsipras dovrà “annacquare” di molto il suo programma; uscirne avrebbe effetti disastrosi per la sua economia. 

di Giorgio Ragazzi