Tumore del colon retto: una terapia innovativa individuata da un team italiano

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in foto Pietro Paolo Vitiello

di Salvatore Vicedomini

Il tumore del colon retto è una delle neoplasie maligne più diagnosticate al mondo con un’incidenza mortale tra le più alte, superando le seicentomila vittime all’anno, e risultando la terza forma più comune di cancro.  Questa terribile malattia è causata da una crescita incontrollata delle cellule della mucosa del colon e del retto, ma fortunatamente in alcuni casi si riesce a diagnosticarla in tempo preventivo per poterla neutralizzare efficacemente, ed ora sembra che ci sia una prospettiva terapeutica anche in caso di una tardiva diagnosi, grazie all’intuizione di un team tutto italiano .

Un’equipe italiana di ricercatori dell’IFOM , dell’Università di Torino e dell’Università degli Studi di Milano, in collaborazione con il Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, l’Ospedale San Raffaele e l’Istituto di Candiolo ha scoperto un metodo innovativo per sensibilizzare i tumori del colon retto ad un’ immunoterapia,  associando due chemioterapici specifici.  Questa nuova strategia adottata è stata realizzata grazie ad una ricerca supportata dall’European Research Council (ERC) e della Fondazione AIRC, pubblicata sulla prestigiosa  rivista scientifica Cancer Cell dal titolo Cisplatin and temozolomide combinatorial treatment triggers hypermutability and immune surveillance in experimental cancer models.

Ormai oggi l’immunoterapia viene considerata una vera e propria  forma innovativa in ambito oncologico, specialmente  negli ultimi anni, dando sempre più speranza nel contrastare in maniera efficace altre forme di tumore. Tuttavia nel trattamento del tumore del colon retto metastatico, questa terapia da risultati efficaci solo con una piccola percentuale di pazienti perché, questo tipo di cancro si rende praticamente invisibile al sistema immunitario.

Pietro Paolo Vitiello, ricercatore IFOM e Oncologo medico presso l’Università di Torino, nonché  primo autore dello studio pubblicato su Cancer Cell ha spiegato: “Da circa dieci anni, stiamo conducendo studi preclinici con alcuni tipi di neoplasie come quelle cerebrali che sono caratteristiche nel possedere cellule che presentano una capacità particolare  di riparare eventuali difetti del Dna  detta – mismatch repair -. Trattando questi tumori con un farmaco come la temozolomide, le cellule tumorali venivano colpite e distrutte proprio perché tentavano di riparare il loro Dna . Siccome lo scopo delle cellule è costituito dal rimanere in vita, ad un certo punto, esse erano poste davanti ad una scelta; ossia riparare il Dna ed andare a morte sicura oppure rimanere con il Dna difettoso ma continuare a vivere. Le cellule tumorali hanno optato per la strategia di abbassare il loro sistema di riparo del Dna e quindi fuggire dall’azione del farmaco.  Questo particolare stratagemma ha indotto un accumulo di tantissime mutazioni che hanno creato nuovi antigeni ed essere quindi facilmente individuate dal sistema immunitario.  Il problema – ha sottolineato Vitiello – è che la temozolomide  agiva solo per una categoria molecolare molto ristretta di tumori che hanno deficit dell’enzima MGMT .”

In definitiva, l’azione di questo farmaco era solo circoscritta ad una bassa percentuale di pazienti di cui meno del 15% di chi aveva il tumore del colon-retto metastatico.

Il ricercatore a tal proposito ha continuato: “ per ampliare l’azione della temozolomide sulle cellule tumorali del colon-retto, si è andati a cercare un partner che ci permettesse di avere un effetto simile, se non migliore, nel neutralizzare  la maggior parte delle cellule in questione. Quindi, provando diversi farmaci si è giunti alla svolta tanto attesa;  combinando il cisplatino si raggiungevano eccellenti risultati .  Infatti l’unione di questi due chemioterapici- ha puntualizzato Vitiello – riusciva ad ampliare bene il raggio d’azione sulle cellule responsabili del meccanismo del mismatch repair, inducendo una riduzione della capacità di riparare il loro Dna. Tutto ciò, le ha rese visibili e quindi vulnerabili da parte del sistema immunitario a causa dell l’accumulo di un numero elevatissimo di mutazioni e la produzione di moltissime nuove proteine; una  condizione analoga a quando un batterio o un virus inondano in maniera massiccia il nostro organismo.”

Questo particolare processo di difesa del tumore, si trasforma paradossalmente in una debolezza come un boomerang e a tal proposito il ricercatore Vitiello ha aggiunto: “ tutte queste mutazioni avvengo in modo casuale in tutto il tessuto tumorale producendo antigeni, ossia, molecole che agiscono come delle bandierine rosse che calamitano  l’attrazione del sistema immunitario, cosicchè  il tumore, nella speranza di difendersi dall’azione della chemioterapia, finisce per rendersi identificabile ed aggredibile dal sistema immunitario.  Tutti questi tumori sono stati trattati in una fase sperimentale con l’obiettivo di trovare una maniera efficace di trasformare i tumori freddi,  che il sistema immunitario non riusciva ad individuare, in tumori detti caldi, riconoscibili ed attaccabili dal sistema immunitario. Questa formidabile ricerca supportata dall’Advanced Grant “TARGET” erogato dall’European Research Council e da un finanziamento della Fondazione AIRC, non è stata svolta solo nei laboratori, – ha continuato Pietro Paolo Vitiello – ma con la collaborazione  del gruppo di Luiz Diaz al Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, i primi 18 pazienti sono già stati trattati con questo approccio chemioterapico nell’ambito di uno studio clinico.  I risultati dei campioni ematici di questi pazienti, attraverso la tecnica che si chiama biopsia liquida, sono stati ottimi ed incoraggianti, confermando che il trattamento ha funzionato e, monitorando i pazienti, si è constatato che le mutazioni delle cellule tumorali aumentavano, migliorando il beneficio dell’azione  dell’immunoterapia .  Malgrado ciò – ha puntualizzato lo scienziato- è indispensabile  impegnarsi con determinazione per ottimizzare questa tecnica prima di poter attuare questa terapia su vasta scala.”

Ma gli effetti positivi non finiscono qui, infatti, per finire, Vitiello ha concluso: “Ci siamo resi conto di quanto avviene anche nell’ambiente circostante il tumore, il cosiddetto microambiente tumorale ; questi tessuti, che contengono tanti altri componenti cellulari, vengono ripolarizzati  ad opera delle cosiddette cellule Natural Killer già prima del trattamento del tumore, le quali riconoscono ed eliminano  precocemente le cellule stressate  che circondano l’area tumorale interessata e quindi,  costituiscono un rinforzo del sistema immunitario.”

In definitiva, si può affermare che questa scoperta rappresenta un cambio di strategia significativa; ossia, invece di contrastare apertamente i processi di resistenza del tumore, i ricercatori hanno sfruttato le loro reazioni per far funzionare in modo efficace il sistema immunitario che il nostro corpo ha a disposizione,  aprendo così il mondo della ricerca a nuove terapie che si basano sull’interazione tra sistema immunitario e cancro.