Il destino della Superlega è stato segnato nel momento in cui Ceférin, il più rozzo dei burocrati mai avuti dall’Uefa, con la sponda del premier UK, Johnson, Deus ex machina dello scontro, è riuscito ad accreditare la Superlega come la secessione di alcuni ricchissimi imprenditori per fare più soldi e recintare il calcio che conta nei giardini dei loro stadi privati.
Richiamati all’ordine con minacce esplicite dal Governo conservatore british (poco fondate legalmente e molto inconsuete per chi considera dogma la libertà d’impresa) e dai tifosi inglesi (montati contro l’americanizzazione del football), Manu &Co hanno fatto retromarcia.
Ironia della sorte a innescare nel Premier la contro-rivoluzione popolare contro i secessionisti dal signore del calcio Spagnolo Florentino Perez, sono stati il catalano Pep Guardiola, rivoluzionario per nascita, e il tedesco Jurgen Klopp, simbolo felice dello storicamente sempre temuto connubio anglo-tedesco.
La Top Dozen riuniva i team più forti, possiede la tifoseria più numerosa (si parla dell’80% della massa europea), ha vinto il 90% dei titoli messi in palio ma il 95% dei loro tifosi è come quello delle altre squadre: vivono in transfert le vittorie delle loro squadre e ne fanno occasione di ristoro contro le piccole e grandi difficoltà quotidiane e di affermazione sui tifosi avversari.
Per queste ragioni i tifosi delle UK Top Six, come di tutti i tifosi del mondo, non disdegnano che le vittorie delle loro squadre sono state e saranno possibili grazie alla loro ricchezza ma aborriscono che questa superiorità, che è anche loro personale superiorità, non passi per lo scontro e la vittoria sul campo, soprattutto con le squadre modeste.
Le tifoserie delle Top 12 si vantano da sempre della stra-ricchezza dei loro team e adorano i loro patron, presidenti, staff e calciatori, che vivono quotidianamente come nessuno di loro potrebbe vivere neppure un’ora se non sognando ad occhi aperti; ma solo perché, vincendo, si sentono riscattati dai piccoli rovesci quotidiani personali e orgogliosi di appartenere ad una comunità di cui condivide i simboli le aspirazioni e le vittorie.
Era dunque inevitabile che, una volta enfatizzata l’osservazione che l’accesso alla Superlega delle squadre modeste (che vuol dire povere di soldi e qualità tecniche) era negato a prescindere dai risultati ottenuti nei campionati nazionali, i tifosi delle Top 12 si sono sentiti privati dell’avversario da battere e della vittoria. Per effetto in poche ore la Superlega è diventata il tentativo dei Presidenti delle loro squadre ossia dei loro sogni, passioni e desideri, soprattutto della possibilità di affermare la loro superiorità per vittoria sul campo.