Leonardo Pappone, alias Leopapp, è un avvocato con l’animo d’artista. O, forse, sarebbe più corretto affermare che è un artistasotto le vesti di un avvocato. Perché di certo non si può dire che Leopapp sia un pittore della domenica, tutt’altro. Scopre la pittura prestissimo, istintivamente. Poi la mette da parte per risentirsela esplodere, dopo molti anni, sotto le mani. Ricomincia a dipingere. Esplora, fonde stili, visioni, immagini senza preconcetti. Allo stesso tempo trova una sua dimensione dove far convivere l’eclettismo delle sperimentazioni ad un’impronta concettuale. Ma per raccontare il suo percorso dobbiamo prima fare un passo indietro, agli anni ’40, ad un uomo che fugge dalla guerra per rifugiarsi al di là dell’Atlantico. L’uomo in questione è Piet Mondrian che nel 1940 per la prima volta mette piede a New York. La città è un’esplosione di caos, traffico, luci, locali dove si balla sfrenatamente il boogie woogie. La grande mela ha un’influenza decisamente benefica sulla produzione dell’artista, il cui astrattismo geometrico traduce la forza vitale della metropoli in colori e rette.
Cosa c’entra tutto questo con Leonardo Pappone? Tutto, e nulla. Basta guardare la serie Flash City per comprendere quanto Leopapp sia vicino a Mondrian, nella capacità di trasporre l’anima vibrante di un luogo, attraverso tracce di pittura che delineano i profili dei grattacieli e conferiscono alla città un vissuto caotico. Ad allontanarlo, però, è una persistenza della rappresentazione che ci fa comprendere come Pappone non sia totalmente un astrattista. Ciò nulla toglie al suo lavoro, semplicemente lo riposiziona su un orizzonte più ampio. Gli astrattisti puri erano convinti che solo spogliando l’arte di passioni ed individualismi, si potesse giungere al nocciolo della realtà. Leopapp no. Le sue tele vibrano come una corda: sono passione, potenza in accadere.
Sorprendenti sono poi i dipinti della serie Graffiti. Qui l’artista sembra convogliare tutto quel substrato urbano di scritte e scarabocchi che si sovrappone sui muri, portandolo su tela. Un po’ come a suo tempo aveva fatto Basquiat, gli dona, pur nel caos simboli e sbuffi di colore, un ordine, un senso. Sembra quasi che l’evoluzione di Pappone coincida con parte di quel percorso che l’arte ha fatto nell’ultimo secolo, nonostante ciò, non solo resta fedele a sé stesso, ma va ad aggiungere qualcosa di nuovo. Anzi potremmo quasi azzardare a dire che Pappone vada declinando una sintesi dell’astrattismo, ma un astrattismo che si guarda intorno, smettendo ad un certo punto anche di essere tale. Ecco perché Leopapp con Mondrian c’entra tutto e nulla. Leopapp ha trovato la sua New York nell’arte, un’oasi feconda per creare e sperimentare.
Chiediamo allora all’artista: che cos’è l’arte per Leopapp?
“E’ un modo continuo di osservare le cose, sia quelle grandi che quelle invisibili, un mondo intero da scoprire continuamente, emozioni intime che hanno bisogno di essere condivise, sensazioni ed intuizioni da rappresentare su vari supporti , con i colori ed i materiali più congeniali per esprimere al meglio quello che la vita ci offre e che sta a noi raccogliere ed offrire agli altri, in un ciclo relazionale che a volte mi inquieta ma tante altre volte mi rende molto felice“.