Frane, le più profonde ferite. E soprattutto alluvioni, le più vaste emergenze mai viste. L’Emilia Romagna è purtroppo solo una delle tante regioni a rischio. Ed è per questo che l’emergenza oggi si chiama in una sola maniera, la protezione del territorio dipende da un solo assioma: gestione rischio idrogeologico. Un tema su cui Vera Corbelli, segretario del Distretto idrografico dell’Appennino meridionale, si misura da tempo in quanto una delle massime esperte in materia. “Il rischio idrogeologico – afferma – non è solo emergenziale. Ora i media, Enti e cittadini sono ampiamente coinvolti dalle immagini drammatiche che ci arrivano soprattutto dall’Emilia Romagna. Ma ricordiamo che non molti mesi fa la tragedia si è consumata nell’isola di Ischia.
Dottoressa, da tempo lei sostiene che le criticità dell’assetto idrogeologico occorre un approccio organico, non è così?
Organico, sistemico e multidisciplinare. Serve una visione d’insieme per una regia unitaria, finalizzata alla gestione del rischio ed alla sostenibilità, ma in maniera concreta, delle risorse acqua e suolo. Non si può, ripeto, procedere solo con azioni a carattere emergenziale che, seppur necessarie, devono avere sempre di più tempi limitati rispetto all’ordinario.
All’origine di tutto c’è il cambiamento climatico causato dalle emissioni nocive?
Oggi scarichiamo tutto sul cambiamento climatico, assolvendoci dei tanti danni che abbiamo causato al territorio attraverso usi non corretti nella gestione delle risorse suolo ed acqua. Tanto da generare un significativo disordine territoriale.
Che cosa andrebbe fatto, invece?
Occorre anzitutto intervenire con urgenza per attuare un percorso virtuoso al fine di agire in maniera organica in quella che è la mitigazione e gestione del rischio idrogeologico. Serve il riassetto territoriale e la ricomposizione ambientale, nel rispetto della sostenibilità del sistema fisico/ambientale.
Non è un’azione che si improvvisa dall’oggi al domani, non crede?
Un tale percorso richiede una pianificazione e programmazione interdisciplinare condivisa e attuata, in via ordinaria, quotidianamente, con l’impegno di tutti, ognuno per la sua parte.
Ma con quale modalità si può intervenire?
Attraverso la pianificazione di Bacino vengono individuati progetti integrati che, tenendo in debito conto tutte le fenomenologie – vale a dire frane, alluvioni, erosione costiera, eccetera -, così come i beni esposti e la loro vulnerabilità, possono dare riscontri adeguati. Si interviene correttamente attraverso la conoscenza, l’analisi, la modellazione e l’interpretazione dell’evoluzione dei fenomeni.
Può farci qualche esempio?
Sull’area del Distretto dell’Appennino meridionale si stanno definendo, per bacini e sub-bacini idrografici, con approcci semi-quantitativi e quantitativi, progetti integrati su areali interessati da specifiche criticità, nonché su aree estese nelle quali si manifestano fenomenologie diverse e fra di loro strettamente connesse.
E tutto questo lavoro di impostazione metodologica, in cosa si traduce?
In interventi materiali ed immateriali, da un lato destinati all’efficientamento delle opere esistenti tra cui le dighe, alla realizzazione o rifacimento della grande e piccola distribuzione, nonché al controllo delle risorse, attraverso un adeguamento e un potenziamento delle reti esistenti sia i termini quantitativi, ossia idro-pluviometrica e piezometrica, che qualitativi, come campionamenti ed analisi. Vale la pena ricordare che l’80% delle acque che utilizziamo nel nostro Paese provengono da acquiferi sotterranei e questi, in media sono controllati per il 40%. Possiamo parlare di sostenibilità della risorsa con queste conoscenze?
Certo rispetto agli ultimi cinquanta o cento anni orsono, sono cambiate fortemente le condizioni al contorno del sistema acque. Non crede?
Nel mondo abbiamo raggiunto la quota di 8 miliardi persone. Le attività antropiche connesse stanno già comportando un eccessivo sovra-sfruttamento delle falde per le esponenziali necessità dell’uso potabile, irriguo ed industriale. Per l’alimentazione è richiesta un’agricoltura sempre più intensiva e più idroesigente, un crescente e sempre più pressante uso dei suoli. Tutto ciò comporta una impermeabilizzazione, con conseguente ostacolo al rimpinguamento delle falde e al riequilibrio dell’ecosistema. E quindi i conseguenti fenomeni franosi ed alluvionali.
C’è poi il tema delle perdite di rete, che arrivano talora al 70%, non è così?
L’alterazione di molti sistemi ambientali delinea un quadro di una situazione allarmante, che chiede con urgenza un’azione sinergica tra istituzioni ed un impegno collettivo. Ma occorre consapevolezza profonda dei valori del bene acqua, per pervenire con rapidità ad una programmazione lungimirante di azioni a medio e lungo periodo.
Qual è la situazione al Sud? Il Mezzogiorno presenta specifiche criticità?
Con le sue straordinarie risorse idriche il Sud rappresenta una grande opportunità per il Paese ed il Pnrr è uno strumento necessario, ma non sufficiente se vogliamo sviluppare una cultura della sostenibilità del bene acqua, vitale per la sopravvivenza dell’uomo. D’altronde l’Italia ha precorso gli orientamenti della direttiva acque Ue 2020, con la legge 183/89 e la legge Galli del 94, ha avviato ed in parte realizzato percorsi virtuosi. Abbiamo quindi un patrimonio di competenze da mettere a sistema.