Vesuvio, come difendersi dal più alto rischio vulcanico al mondo? La storia di San Gennaro insegna

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Oggi, nell’ambito della 12ma giornata di studio internazionale Gsinu promossa da Inu (Istituto Nazionale di Urbanistica) si tiene il webinar “Abitare su un vulcano: come convivere con il più alto rischio vulcanico al mondo” che riunisce esperti di vulcanologia, economia, intelligenza artificiali, scienze sociali per discutere della mitigazione del rischio vulcanico nell’area napoletana (Vesuvio, Campi Flegrei, Ischia), illustrando come la soluzione intelligente di questo enorme problema, unico e maggiore al mondo per le sue dimensioni, possa rappresentare “una imperdibile occasione di sviluppo economico, prima di tutto del Mezzogiorno ma anche di tutto il nostro Paese”. Tra i presenti Giuseppe De Natale e Renato Somma (Ingv), Alfredo Trcciola (Enea), Antonio Coviello (Cnr-Iriss), Adriano Giannola (Svimez), Massimo Buscema (Semeion, Università del Colorado). In particolare si mostrerà come sia possibile coniugare la diminuzione della pressione residenziale nelle aree a massimo rischio con il ripopolamento e la riqualificazione delle aree interne della Campania e del Meridione, creando infrastrutture per allineare finalmente il Sud alle maggiori economie europee. Per introdurre questo problema in maniera accattivante, si riflette su in dipinto sul tradizionale miracolo di San Gennaro custodito nella sede dell’Arciconfraternita di Avellino, piccola tela del famoso pittore barocco Francesco Solimena, che ritrae in estasi il santo durante una eruzione del Vesuvio. Il santo è rappresentato con gli occhi rivolti al cielo nell’atto di stringere al petto due ampolle, contenenti il suo prezioso sangue, al fine di mitigare gli effetti di una violenta eruzione avvenuta nel 17mo secolo. Solimena, che aveva esercitato nella più famosa bottega di arte tardo barocca dove erano stati formati una moltitudine di artisti alle pendici del Vesuvio, dimorò fino agli ultimi giorni della sua vita, nel 1700, in una villa a Barra dove aveva potuto assistere alle violente eruzioni del vulcano, ma non così San Gennaro che era morto circa 1500 anni prima, martirizzato a Pozzuoli. La devozione al santo da parte dei napoletani nacque in occasione dell’eruzione del 472, che spinse il popolo ad accorrere in massa nella catacomba dove erano conservati i suoi resti; così quell’anno venne subito eletto patrono principale di Napoli a scapito del precedente santo Agrippino.
I fedeli cominciarono ad invocarlo con fede e a chiedere intercessioni perché evitasse i danni causati dai frequenti disastri naturali (terremoti, eruzioni e epidemie), che colpivano la città più popolosa nel sud Italia. Un altro fatto unisce il santo dei territori vulcanici napoletani con l’Irpinia. Pochi sanno che i resti delle ossa del patrono di Napoli sono stati custoditi per oltre tre secoli nel Santuario di Monte Vergine (dal 1100 fino al 1400) per preservarli dai furti operati durante la fase normanna-angioina. I resti erano talmente ben nascosti che vennero ritrovati casualmente sotto un altare e ricollocati con altre reliquie nella Chiesa del Duomo a Napoli (e tale esperienza di sicurezza suggerì ai reali della casa Savoia, durante la II guerra mondiale, di trasferire da Torino la reliquia della Sacra Sindone a Montevergine per evitare che fosse presa dai nazisti tedeschi). Il santo “vulcanico” sembra ancora oggi, quindi, indicare al suo popolo una possibile via di fuga ad una eventuale eruzione del Vesuvio o dei Campi Flegrei. Secondo i piani di evacuazione finora predisposti, in caso di pericolo in queste aree, un numero consistente di abitanti campani si mobilizzerebbero (in tre giorni al massimo), dispersi tra tutte le altre regioni d’Italia (circa 700 mila dall’area vesuviana, circa 600 mila da quella flegrea). Sarebbe un esodo massiccio, che assumerebbe dimensioni bibliche e avrebbe luogo tra l’altro con grande urgenza in un momento di massima emergenza, senza speranze di ritornare in tempi brevi nei luoghi di residenza, comportando di fatto la scomparsa di un antico popolo e contemporaneamente un disastro economico comparabile se non maggiore a quello del Covid-19. Per rendere razionale e fattibile, socialmente ed economicamente la mitigazione del rischio vulcanico nell’area napoletana, un gruppo di lavoro multidisciplinare di vari enti sta progettando delle soluzioni alternative, basate sulle più avanzate conoscenze vulcanologiche integrate con considerazioni logistiche, urbanistiche, sociali, economiche. Il messaggio che Solimena aveva affidato al suo dipinto di San Gennaro – spiegano i promotori del webinar – “indica una via, di soluzione piuttosto che di fuga; quasi simbolicamente ospitato ad Avellino, in cui i piccoli centri della sua provincia (come delle altre provincie interne della Campania, ad esempio del Sannio e del Cilento) oggi in crisi demografica possono sperimentare una rinascita, sociale ed economica, nel contempo aiutando a risolvere il problema del più alto rischio vulcanico al mondo e il più grande problema, endemico, del Meridione da oltre 160 anni: la carenza di infrastrutture e di collegamento tra le aree costiere, portuali e le aree interne”.