Villa Cimbrone, vista (e gusto) sull’infinito

371

Quando si dice Ravello si dice Paradiso, quando si dice Villa Cimbrone si dice storia e cultura. Dal 1100 arroccata sul costone roccioso “cimbronium”, da cui prende il nome, in un parco botanico di circa otto ettari di verde lussureggiante, la storia di questa bellissima struttura passa per diverse famiglie fino ad arrivare, negli anni ’60, ai Vuilleumier, famiglia di origini svizzere, alla quinta generazione di albergatori, impegnata quotidianamente nello sviluppo di quelli che sono i valori del passato e la gestione del futuro. Senza soffermarsi sulla grande opera di recupero e ri-valorizzazione attuata dalla famiglia grazie alla particolare sensibilità dimostrata per riportare uno dei più importanti beni culturali dallo stato di abbandono ad una meta visitata tutto l’anno da tutto il mondo, l’attenzione si pone sulle capacità di trasformare una dimora storica in struttura museale con hotel charme annesso e ristorazione stellata. Come dire, quando non c’è lo Stato ma ci sono imprenditori virtuosi, anche un progetto apparentemente impossibile diventa un miracolo. In quanto residenza storica è stata richiamo di personaggi illustri della politica, delle scienze, dell’aristocrazia, del jet-set dal XII secolo ad oggi. A distanza di centinaia di anni ancora, se non più di prima, l’elemento attrattore è sempre esoterico. Turisti da tutto il mondo vengono in visita in questa bellezza storica, architettonica, botanica e panoramica, la vista da qui mette pace con se stessi e dopo aver appagato quattro dei cinque sensi, il quinto, il gusto, è di competenza del Flauto di Pan, il ristorante stellato interno alla struttura. Il flauto, strumento raffigurato da Picasso in una delle sue opere con il mare sullo sfondo, potrebbe essere attinente sia al luogo dove mi trovo, sia alla genesi della famiglia (il flauto è uno strumento tipico della cultura svizzera). A me piace di più pensare come il suono diventi richiamo al godimento, alla bellezza, alla gola. Giorgio Vuilleumier è grande affabulatore, un atleta e come tutti gli sportivi, determinato e appassionato. I suoi racconti sulla storia della famiglia e della struttura sono di “stomaco”, di passione, padrone di casa migliore forse non ce n’è. Autentico appassionato di vini al punto da crearsi una piccola produzione enologica (aglianico, piedirosso, merlot), è anche homebrewer, volete mettere il piacere di un birretta fatta in casa? Oltre alla Villa ed ai suoi incarichi imprenditoriali ed associativi, Giorgio è proprietario ed abile pilota di elicottero (perdonate la nota personale, è un’attività ed una passione da me condivisa, chi è pilota capirà…) e quindi il miglior cicerone alato che si possa pretendere, i suoi ospiti potranno godere delle costiere dall’alto, opzione non proprio comune a tutte le strutture ricettive se non a noleggio. Adesso con i piedi a terra. La terrazza del ristorante è eccezionale per una serata romantica e ancor di più per il godimento di uno stato ormai perduto, il silenzio! Personale non campano, spiegata poi da Giorgio come una scelta forzata da esperienze negative con le risorse del territorio, il maitre Claudio Martina ed in cucina lo Chef Giovanni De Vivo (però assente alla mia venuta). Alla lettura della carta l’evidenza è su una cucina di materia, di territorio e senza inutili complicazioni tranne qualche piccolo francesismo, pochi ingredienti (così come dovrebbe essere sempre ) alcuni provenienti dalle colture biologiche della Villa, ingredienti ben abbinati con il risultato di non doversi impegnare a capire cosa c’è nel piatto. Il piatto va al cliente e non viceversa. L’apertura ormai di consuetudine con i burri (vaccino e bufala), olio siciliano (questa è l’unica distonia pensando al patrimonio olivicolo della Campania), pani di varie farine e preparazioni, nastrine e grissini. Un amuse bouche (boccone che precede l’antipasto) di tonno cotto in court bouillon (acqua salata, sedano, carota e cipolla) su focaccina; petto d’anatra laccata ai fiori di glicine con praline di pistacchi su crema di topinambur e Taurasi; passione di mare (pasta fresca con lattuga di mare, ricci e vongole veraci); pasta mista di Gragnano lardellata con cozze e fagioli di Controne; pezzogna e la sua acqua pazza in acquario; carrè di vitello in granella di nocciole di Giffoni con crema di latte e jus all’espresso napoletano; cheesecake al basilico con biscotto al burro di bufala su salsa di pomodoro e agrumi della costiera amalfitana. Percorso di accompagnamento al calice anche se non ho avuto il piacere di concludere con l’ormai tanto prezioso quanto famoso passito di Casa Vuilleumier, gelosamente custodito nella sua bella ed antica cantina di pietra e tufo, non me ne faccio una ragione per cui tornerò anche se fosse sol per questo. Come disse Lord Grimthorpe (progettista del Big Ben), proprietario della Villa verso la fine ‘800: la vera ricchezza è nella conservazione e rispetto della storia e nel forte e antico orgoglio di essere privilegiati tenutari di un prestigioso passato. La Famiglia Vuilleumier ne porta il testimone con la stessa dignità ed orgoglio.