Vincenzo D’Argenio, da Benevento a Bologna seguendo la strada dell’arte

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(Foto di Daniela Conte e Stefania Trotta)

Tra i protagonisti di ArteFiera 2019 con la sua mostra D.F.
(a.i.)

Il Sannio sembra aver abbattuto ogni qualsivoglia confine grazie alla magia dell’Arte, non già e non solo accogliendo artisti provenienti da luoghi altri e spesso molto lontani, bensì anche ‘esportando’ cultura, per così dire, stupendo, con moto d’orgoglio creativo, al di là del profilo della Dormiente.
È il caso del giovane ma già affermato artista Vincenzo D’Argenio; ben noto con lo pseudonimo di LAST22, con cui si è avvicinato alla street arte giunto, poi, al linguaggio video e fotografico, secondo una grammatica composita, legata al valore semiotico del medium, alla sua interazione con lo spazio circostante, nell’alveo di un dialogo sempre in fieri, sperimentale, in cui segno, forma e tecnologia divengono i vettori della propria poetica, spaziando dalla grafica al design – passando finanche per il giornalismo di settore –
Oggi, Vincenzo D’Argenio vive e lavora prevalentemente a Bologna, dove, nei giorni scorsi, durante la febbrile ‘artweek’ di ArteFiera 2019, una delle rassegne d’arte contemporanee più importanti, è stato protagonista con una mostra filiazione di un più ampio progetto: D.F.
Cos’è o chi è D.F. ? Queste iniziali celano un nome, Domenico Facchiano, nonno materno dell’artista, soggetto dell’opera, soggetto divenuto punctum essenziale di una ricerca volta al rapporto che D’Argenio affida alla memoria e ciò che essa instaura mediante l’influsso distopico tra analogico e digitale, un po’ come se fosse la diarchia passato/presente, in cui tutti noi siamo invitati ad entrare.
Il viaggio à rebours compiuto da D’Argenio si fa racconto che attraversa tempo e spazio, tramite un approccio percettivo, che ha preso avvio sin da subito; il pubblico, giunto nel peculiare spazio espositivo L’Appartamento – una speculare casetta d’epoca nel centro di Bologna, luogo assai mutevole e dall’identità specifica – indossava delle cuffiette auricolari e, dopo aver inquadrato un QRcode con il proprio smartphone, poteva ascoltare le voci delle donne della famiglia Facchiano- D’Argenio raccontarsi, raccontare di D.F., in una sorta di lessico familiare dei giorni nostri. Aprendo una seconda porticina si entrava nel vivo del progetto: in una camera ‘oscura’, campeggiavano, su due pareti, una grande foto, l’ultimo scatto alle mani del nonno dell’artista, scatto analogico, stampato secondo ‘tradizione’ di fronte alla quale sostavano diversi tablets mostranti altre immagini dell’album di famiglia, spaziando nei decenni. Osservandole, le voci delle donne di famiglia continuavano a raccontare storie, episodi esperiti, attimi non sfuggiti alla memoria.
Si cambiava scena, attraversando un cortile interno e si giungeva in una altra piccola stanza, dove, sedendosisu di un tappeto, si osservava unsilente video proiettato sulla parete, coperta da uno strato di pluriball, a determinare una rivisitazione spuria che affondava le radici nell’incompiutezza del ricordo. Nel video, D.F. è con la moglie, a pranzo ed il video, girato dal padre dell’artista con un cellulare, rievocava emozioni, istanti perduti, rituali ovvi eppure non più in essere.
D.F. non è un mero omaggio alla figura del nonno materno, D.F. è un omaggio al ricordo, alla vita, di cui la morte è parte determinante, è un racconto plurimo, corale, in cui a farsi protagonista è il dialogo che si intrattiene entro il parallelismo tra analogico e digitale, intendibile non solo sotto il profilo della tecnologia, bensì come un universo emozionale ed evocativo che si attua in unaconsonanza semantica, ovela definizione e la ricerca identitaria assumono una tensioneconstante, persino nella sua mutazione cronologica, naturale.
D.F. è una storia composta da indizi che l’osservatore deve scoprire, secondo istanze psichiche dell’attivazione della sfera mnemonica che, d’un tratto, si fa immersione nella propria storia personale, nel solco lasciato da tracce che paiono, dunque, divenute indelebili.
La mostra, che è stata curata da Emilia Angelucci e Mario Francesco Simeone per Maison Ventidue e in collaborazione con TazTemporary Art Zone, ha radunato intorno a sé un nutrito pubblico e avuto un buon successo di critica. È stato compreso a fondo il messaggio che D’Argenio ha voluto tradurre attraverso la propria opera e speriamo che anche a Benevento D.F. possa presto far ‘ritorno’.

(Foto di Daniela Conte e Stefania Trotta)