“Vola alta, parola. Trent’anni di Colophonarte”: al Mann splendono i libri d’artista

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di Fiorella Franchini

“Vola alta, parola, cresci in profondità…”, prende in prestito i versi di Mario Luzi e la voce di Adriana Carli, la splendida mostra ospitata dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli nella Sala della Meridiana fino all’11 novembre. “Vola alta, parola. Trent’anni di Colophonarte” è un percorso espositivo che ripercorre il viaggio culturale della casa editrice bellunese ideatrice di una raffinata concezione dell’oggetto libro. Il segno grafico della scrittura si sposa con quello dell’Arte ed è un connubio spettacolare. Non libri illustrati, dunque, ma vere e proprie creazioni artistiche in cui i differenti generi si mescolano; parole, musica, immagine, il profumo e la tattilità della carta che, interagendo tra loro, offrono al lettore un’esperienza sensoriale molteplice. Trentacinque dei 120 libri d’artista pubblicati dalla Colophonarte. fondata da Egidio Fiorin, a partire dal 1988 sono collocati in undici grandi teche con l’allestimento a cura di Marinella Parente, in collaborazione con Enza Silvestrini. Si potranno ammirare opere di artisti italiani e stranieri contemporanei da Mimmo Paladino, a Enrico Castellani, Arnaldo Pomodoro, Lucio Del Pezzo, Giuseppe Maraniello, Kounellis, Enrico Baj, Emilio Isgrò, Giorgio Griffa, Roberto Barni, Giulio Paolini, Ferdinando Scianna, Hermann Nitsch, Corneille, Eduardo Arroyo, Claude Viallat, François Morellet, Medhat Shafik, Michel Kenna. Realizzate con tecniche diverse (acquerello, scultura in bronzo o ceramica, incisioni in acquaforte, linoleum grafie), sono abbinate a poesie e prose dei grandi classici e dei più celebrati autori del Novecento: Ungaretti, Bertolucci, Luzi, Raboni, Sanguineti, Villa, Zanzotto, Fo, Eco, Magris, Sebastiano Grasso, Inge Feltrinelli, Leopoldo Pirelli, Pietro Ingrao o Giulia Maria Crespi, Liliana Cavani, Massimo Cacciari. Spazio anche alle pubblicazioni musicali, dedicate a compositori e direttori d’orchestra come Claudio Abbado, Arnold Schönberg, Luigi Nono, e alla riedizione d’importanti partiture originali. Il Colophon, ricorda Mauro Giancaspro, storico direttore della Biblioteca Nazionale di Napoli, è un breve testo, collocato sempre alla fine di un libro, riportante informazioni relative alla produzione dello stesso, tra cui particolarmente rilevanti sono le note tipografiche. Caduto in disuso nel corso del XVII secolo, sostituito dal frontespizio, le edizioni Colophon ne hanno fatto il simbolo di una editoria rivolta alla valorizzazione dell’oggetto librario come elemento di una trasmissione culturale completa e variegata.

L’attenzione riservata alla scelta della carta, rigorosamente fatta a mano in cotone a pH neutro, l’accuratezza della stampa realizzata con il torchio, le tirature ridotte e le incisioni numerate, hanno reso i loro libri manufatti di particolare pregio, esposti in mostre e musei nazionali e internazionali, tra cui il museo Poldi Pezzoli di Milano, il MOMA di New York, la collezione Guggenheim di Venezia, la Biblioteca nazionale Centrale di Firenze. Punto di partenza ideale del percorso espositivo è il primo volume edito da Colophonarte: i quattro canti di Giacomo Leopardi, interpretati da altrettante incisioni di Walter Valentini, ma le suggestioni si susseguono a ogni vetrina. Il celebre monologo di Eduardo de Filippo in Questi fantasmi! nella versione originale e nelle traduzioni in francese, inglese, spagnolo, portoghese composto in Garamond c 14 da Rodolfo Campi e stampato su Amatruda di Amalfi, corredati da un’incisione, acquaforte-acquatinta di Giuseppe Maraniello; A, B, C, D, E, testi di Paul Valéry nella versione originale e nella traduzione inedita di Marina Giaveri, arricchiti da una variazione di Giorgio Griffa su tela bandera, appuntata sul contenitore in legno realizzato da Fabio Reolon e la legatura di Sandro Francescon, o il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo di Galileo Galilei, commentato dall’acquaforte di François Morellet, numerata e firmata dall’artista. Particolarmente ricca è la presenza degli artisti partenopei, Palladino, Nitsch, Del Pezzo che testimonia il rapporto speciale tra la città e i suoi creativi. “Si sente che Napoli ha un’anima” ha sottolineato Roberto Barni autore delle opere che accompagnano un volume dedicato a cinque “Rime” di Michelangelo, “tanto che si potrebbe parlare di una vera e propria scuola napoletana, composta dagli artisti più noti ma anche da tanti nomi meno pubblicizzati”. Non soltanto storia e tradizioni ma un estro vivace e dinamico di cui proprio il MANN, grazie al direttore Paolo Giulierini e ai suoi collaboratori, si è fatto portavoce attraverso le numerose iniziative, percorsi espositivi, concerti, convegni, spettacoli teatrali, che fanno dell’Archeologico un punto di riferimento culturale, intellettuale, scientifico speciale. Non a caso la mostra si ricollega al grande patrimonio librario della Biblioteca museale che, con i suoi oltre 40mila volumi, di cui 5000 dal ‘500 all’800, può essere considerata come una collezione tra le collezioni. “Vola alta, parola, cresci in profondità, /tocca nadir e zenith della tua significazione…”continua Luzi. Parola che evoca e custodisce, parola intesa come cifra propria dell’umano, invito ad allearsi con tutte le Arti per cercare significati universali, sospingendosi fino al confine del visibile, ma, in quest’ascesa, mai separata dal sentire, dalla bellezza della corporeità, dal ritmo concreto del vivere, dal senso della Natura che ci offre le materie prime. Un libro d’artista di Colophonarte è fatto di conoscenza, d’intuizione, di lavoro manuale, di terra, di sole, di aria, di acqua, di vita.