Vulcani, l’Invg ricostruisce la catastrofica eruzione dei Campi Flegrei di 39mila anni fa

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Trentanovemila anni fa il supervulcano dei Campi Flegrei generò un’eruzione catastrofica che devastò l’area dell’attuale Campania e parte del sud d’Italia. Quella eruzione, la più devastante in Europa negli ultimi 200 mila anni è stata adesso ricostruita dal gruppo di scienziati coordinato da Antonio Costa dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e pubblicata sulla rivista Scientific Reports. “E’ stata l’eruzione più devastante degli ultimi 200.000 anni in Europa – spiega Costa – e per fortuna eruzioni di questo tipo sono rarissime, ma studi come questo ci aiutano a prevedere che cosa potrebbe accadere nel caso di nuove eruzioni dei Campi Flegrei in futuro”. I ricercatori sono riusciti a ricostruire l’eruzione di 39.000 anni fa grazie a simulazioni e ad analisi di dati archeologici sui livelli di cenere trovati in tutta Europa. E’ stato scoperto che l’eruzione ha generato una colonna di ceneri e gas alta 44 chilometri che è collassata e ha inondato con una nube infuocata tutto il territorio circostante.

Subito dopo la prima colonna di ceneri se ne è alzata un’altra, alta 37 chilometri, e si sono formati fiumi di lava, ceneri e gas che sono arrivati fino a 70 chilometri di distanza, nell’Appennino a Nord di Napoli. L’eruzione ha devastato la Campania e parte del Sud Italia, ma l’impatto è stato globale: per esempio le ceneri in atmosfera hanno bloccato i raggi solari generando un ‘inverno vulcanico‘ durato almeno due anni. Le temperature si sono abbassate di due gradi in tutto il mondo e in Europa di circa 6-9 gradi. Inoltre, in atmosfera, le ceneri ricche di cloro hanno generato piogge acide che hanno ulteriormente devastato l’ambiente. L’impatto è stato enorme anche sui Sapiens e i Neanderthal che vivevano allora in Europa. L’eruzione ha probabilmente spazzato via le popolazioni che vivevano in Campania e c’è voluto forse un secolo perché l’ambiente recuperasse e l’area fosse ripopolata. ”Sono stati i Sapiens che hanno ripopolato le aree devastate e – dice Costa – forse si sono concentrati a colonizzare questi territori invece di avanzare verso ovest, garantendo così la sopravvivenza prolungata Neanderthal nella penisola Iberica”.