Welfare: Anseb, ecco proposte per regole e sviluppo mercato buoni pasto

35

Roma, 26 ott. (Labitalia) – Si è tenuta a Roma, la seconda tavola rotonda dedicata al settore del Buono Pasto, un mercato che in Italia vale circa 3 miliardi di euro e la cui filiera rappresenta lo 0,72% del PIL Italiano, creando 190mila posti di lavoro tra lavoro diretto e indiretto. Dopo la vicenda QUI!Group che ha messo sotto la lente d’ingrandimento il funzionamento del settore, Anseb, l’Associazione nazionale società emettitrici buoni Pasto che rappresenta circa l’80% di tutto il mercato italiano, ha voluto illustrare le proprie proposte al mondo della politica, coinvolgendo tutti gli stakeholder di riferimento di un mercato che interessa 2,4 milioni di lavoratori.

Al tavolo il presidente di Anseb, Emmanuele Massagli, Tullio Patassini deputato Lega, Matteo Mantero senatore del M5S, l’economista dell’Università di Genova Luca Beltrametti, il presidente nazionale del Movimento per la Difesa del Cittadino Francesco Luongo, il vice presidente Fipe Aldo Mario Cursano e Roberto Benaglia del dipartimento contrattazione Cisl.

“Il fallimento del secondo operatore di mercato deve diventare un’occasione per modernizzare la regolazione di quello che è ancora il benefit preferito dai lavoratori italiani: il buono pasto”, ha dichiarato Massagli.

“La direzione è quella indicata da Anseb dal 2015: digitalizzazione obbligatoria -ha continuato Massagli- entro tre anni, creazione di una Commissione Nazionale tra tutti i soggetti che rappresentano la filiera, obbligo di vincolo di almeno il 2% del circolante nello Stato Patrimoniale delle imprese emettitrici a difesa degli esercenti, ribaltamento dei criteri delle gare Consip, che hanno determinato un’inarrestabile corsa al ribasso di prezzi e qualità”.

“Il modello di business di QUI!Ticket era anomalo, diverso da quello degli altri operatori”, ha proseguito Massagli.

“Sono le strategie -ha continuato- di quel gruppo a essersi dimostrate fallimentari, non l’intero meccanismo di mercato che, anzi, da questa vicenda può uscirne rafforzato, con il concorso di tutti e a vantaggio del beneficiario del buono pasto, ovvero il lavoratore. Qualsiasi soluzione alternativa al servizio sostitutivo di mensa vorrebbe dire maggiori tasse sul lavoro dipendente, a tutto vantaggio dello Stato, non certo della singola persona, che avrebbe una disponibilità di reddito almeno dimezzata”.