Max Coppeta: tre domande sull’arte

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in foto Max Coppeta

L’occhio di Leone, ideato dall’artista Giuseppe Leone, è un osservatorio sull’arte visiva che, attraverso gli scritti di critici ed operatori culturali, vuole offrire una lettura di quel che accade nel mondo dell’arte avanzando proposte e svolgendo indagini e analisi di rilievo nazionale e internazionale.

di Azzurra Immediato

L’Occhio di Leone incontra l’artista Max Coppeta per discutere d’arte e progettualità, nell’alveo di un processo ideale che egli delinea come ‘artificio’ in grado di definire – ove e semmai necessario – una commistione tra tempo e spazio, secondo i prodromi di una fluidità inesorabile, alchemica, capace di affrontare i limiti della percezione mediante una perturbante ed illusoria, oltre che ipnotica, sintonia materica; mentre vetro, legno, specchi, plexiglass, acqua ed altri linguaggi – come quelli performativi che ruotano attorno alle sue opere – approfondiscono quel che diventa meta-realtà. In queste ultime settimane, Max Coppeta è protagonista di diversi progetti espositivi e di una importante donazione istituzionale. In quel che, altrove, ho definito “l’immaginifico ossimoro della fissità del movimento” per il suo lavoro, ho posto a Max Coppeta le usuali 3 domande di questa rubrica, le cui risposte sono un viaggio alla scoperta di una felice alterità.

Cos’è per te l’arte?
L’arte è per me un momento di piena libertà espressiva, non è evasione ma invasione: occupazione anarchica di spazi e appropriazione di nuove tecniche, linguaggi e modalità operative; apertura alla sperimentazione nel senso più ampio del termine. Vivo l’arte senza obiettivi e finalità, non mi importa compiacere, ma compiacermi dello scopo raggiunto oppure festeggiare un clamoroso fallimento. In arte non si parla mai degli insuccessi, io li perseguo, spingo al massimo in ogni direzione possibile, sono ossessionato dal controllo della materia perché devo piegarla ad un inedito scopo, quello di mostrare se stessa in una forma nuova. Per me le opere devono possedere una magia vitale apparentemente inspiegabile.

Che cosa prospetta il panorama artistico oggi, secondo te, dopo aver vissuto un 2020 straniante ed inatteso a causa dell’emergenza Covid19?
Il panorama artistico è sempre in sintonia con il panorama sociale che lo genera, quasi sempre lo anticipa. Questo virus (Covid-19), ha solo accelerato alcuni processi in atto come la virtualizzazione e smaterializzazione delle opere, questo non è necessariamente un male, in molti casi ha fatto emergere ricerche davvero notevoli, certo ha aumentato le distanze intellettuali e fisiche, e di sicuro abbiamo perso l’aspetto relazionale che, nel caso di linguaggi più audaci, diventa essenziale per la comprensione. In generale, io parlerei di mutazione, la pandemia generata dal virus ha messo in moto un enorme cambiamento sociale collettivo, l’arte e la sua fruizione hanno subito un cambiamento radicale, le distanze tra le opere e i fruitori si sono accorciate sempre di più, complice la tecnologia e la volontà degli artisti di raccontarsi senza filtri e mediatori. Spesso nei momenti di crisi sono emerse le idee più brillanti, sono quindi fiducioso. Nei momenti di rischio, restrizione e pericolo il passaggio che concretizza uno stato emotivo emerso è più veloce e più forte.

Cosa si aspettano gli artisti, oggi, secondo te, dai mediatori culturali, dai galleristi, critici, curatori, giornalisti e, soprattutto, dalle istituzioni pubbliche e private, anche alla luce della tua recente donazione di un’opera alla collezione contemporanea della Reggia di Caserta? Tra l’altro, raccontaci di questa esperienza.
Posso parlare della mia esperienza, del mio sentire, del mio pensiero, certo non posso farmi portavoce di altri ‘viaggiatori sensibili’. Io non aspetto nulla e nessuno, io procedo senza sosta e senza consenso. Oggi il Covid-19 ha aperto un gigantesco laboratorio, inutili sono le previsioni e le aspettative, l’arte quella vera è imprevedibile, e poco circoscrivibile per pronostici precostituiti. Siamo convinti che i ruoli nel mondo dell’arte resteranno inalterati? Io inizierei dagli artisti, forse saranno proprio loro i primi a dover cambiare, la cosa più complessa del fare arte è che essa non si fa, ma si vive con consapevolezza e responsabilità, ed auspico un maggior equilibrio tra tutti gli operatori. Il mio rapporto con la Reggia di Caserta è iniziato nel 2018 con la mostra-performance ‘Flow /equilibri precari liquidi’, esposta nella sala di Alessandro, a cura di Cynthia Penna. L’intervento installativo è stato promosso dall’Istituzione Internazionale Art1307 con patrocinio del MIBACT – Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Matronato del Museo Madre. Il dialogo con lo storico palazzo reale, tra i più celebri al mondo, ha aperto nuovi scenari di indagine artistica: da un lato, ha consolidato la mia idea d’arte totale, dove non esiste più confine tra pittura, scultura, musica, danza e i linguaggi confluiscono in un unico flusso d’azione contaminandosi a vicenda. Dall’altro lato, il confronto con il Barocco ha accelerato la mia ricerca sul percorso della luce e della sperimentazione sulla materia. Al seguito di questa meravigliosa esperienza, presentata al pubblico da Vincenzo Mazzarella (Funzionario della Reggia di Caserta, Ufficio Promozione Culturale e Servizi educativi) e condivisa con Mauro Felicori (ex Direttore Generale della Reggia di Caserta), mi è stato chiesto di selezionare un lavoro per l’Archivio della Collezione del Contemporaneo del Palazzo Borbonico. Dopo alcuni mesi ho proposto ‘Lost’, l’opera è stata esposta per la prima volta a Milano presso Art In Gallery per la personale dal titolo ‘Suspense’ a cura di Antonello Tolve nel 2016. Lost è un attraversamento visivo nell’assenza dell’opera. Esibisce il superfluo come necessario e per questo accende l’attenzione su ciò che è stato e non è più. Lost è un’opera praticamente vuota, svuotata materialmente e metaforicamente. Volevo lasciare questo segno di assenza come presenza svanita per una celebrazione finita al suo nascere. Attualmente, lavoro ad un importante progetto espositivo in dialogo con importanti opere del Barocco napoletano come Luca Giordano, Salvator Rosa, Francesco Solimena (per fare alcuni nomi). Questa nuova avventura vede la regia di Davide Caramagna, con il sostegno della Fondazione De Chiara De Maio, a cura di Sandro Barbagallo, mentre i rapporti internazionali sono coordinati da Alessandro Demma. Infine ricordo l’esposizione ‘Gli Altari dell’Arte’ presso la Chiesa dell’Ave Gratia Plena di Guardia Sanframondi a cura di Giuseppe Leone, dove ancora una volta il Barocco ha fatto da cornice al mio percorso, con l’opera ‘Riflessi e Deformi’. Infine ringrazio tutte le persone che con passione contribuiscono ad ogni piccolo passo verso nessuna meta.