Tra i doveri della società moderna: quello fondamentale della conoscenza del mondo in cui vive

Ho letto con molta attenzione ed interesse l’articolo dei tre ingegneri senatori, nostri emeriti soci della associazione Noi NEXT Open Innovation sul tema dell’innovazione. 

Meglio non potevano descrivere le complessità di questo particolare momento nella storia evolutiva dei settori che maggiormente trainano l’economia, lo sviluppo, la società e il dinamismo che caratterizza il passaggio dalla società verso il tema ambientale senza CO2.

Un lavoro, un contributo che si legge in maniera piana e scorrevole ricco di contenuti idonei a rappresentare le esigenze del nuovo mondo. Apri il link in nota (1). 

Sarebbe molto bello se questi pensieri e idee potessero raggiungere ampie platee di cittadini, di aziende, persone comuni per aprire loro la mente ed indurli a pensare, agire, in maniera consona e coerente con i nuovi bisogni; sarebbe anche molto bello se tutto ciò che viene attentamente descritto con attenzione alle implicazioni che riguardano la transizione ecologica potesse essere capito e compreso da una gran fetta della popolazione del nostro paese.

Traggo invece proprio dalla complessità del discorso e delle tematiche che in esso sono contenute la considerazione che purtroppo c’è un grande diaframma tra il sapere tecnologico e le conoscenze che invece sono proprie degli uomini comuni per non dire delle classi medie nel nostro paese

Una distanza acuita non solo dalla scarsa vicinanza tra mondi che dovrebbero essere contigui, ma anche dalla disattenzione dei centri di responsabilità.

Me ne sono occupato alcuni anni fa da giurista e da uomo dell’IT sulle pagine del giornale “il Denaro del 2006” (e naturalmente conservo i testi , tutt’ora validi, qui allegati) e qui penso di dover rendere conto del fatto tutto il mondo dell’IT, della digitalizzazione, ben si intende con i limiti del momento da contestualizzare, conta a monte del sistema anche su un ricco quadro giuridico che dovrebbe essere materia operativa per tutti, cioè per  gli addetti ai lavori, per chi si prodiga nella diffusione della nuova cultura della innovazione con particolare riguardo alle tecnologie e suoi derivati.

Esso è costituito in primis da un ponderoso Codice Digitale che all’epoca venne contrastato da tutti ( mondo delle professioni, Pa, aziende in una fase iniziale anche dal Consiglio di Stato – vedi articolo allegato pubblicato nel 2005- ) i cui principi di base consistono nel diritto del cittadino a sapere, ad essere informato, ad essere indotto a crescere nella conoscenza delle nuove modalità; ad utilizzare tutto lo strumentario disponibile e quindi a diventare, come si leggeva nei primi testi della nostra mamma Europa, dei cittadini digitali.

In altri termini ad essere tutelato nella nuova dignità di cittadino digitale al pari di chi si fa tutelare dal Codice civile, dal Codice Penale, dai codici della giustizia amministrativa e da tutte le altre regolamentazioni esistenti.

Mi sono sempre chiesto: chi se ne occupa? Solo gli avvocati in sede di tutela giudiziaria e di contenzioso? ho forti dubbi. 

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1 https://www.ordineingegnerinapoli.news/il-verde-e-il-blu-innovare-per-diventare-sostenibili/

Ci sono state nel tempo iniziative del pubblico, della Pa, e delle stesse aziende private per indurre, con la compiutezza che sarebbe necessaria, l’utenza, i cittadini, il cittadino che si serve della PA, che fa l’ammalato suo malgrado, che ha necessità di interagire con le aziende di servizio di erogazione dei beni immateriali e materiali ( luce, gas, acqua , telefonia etc. etc. l’elenco è infinito) a far sapere e conoscere quali sono i suoi diritti di cives digitale che non è una qualifica del nostro ordinamento ma di quello comunitario e che ha radici ben fondate sui primi trattati?   

Spingere i cittadini a valutare significa anche segnalare i mancati benefici in termini di costi, di qualità della vita, di semplificazione del suo modello. 

Tutto ciò non rientra nei doveri del sistema allargato cui partecipa in primis la Pubblica amministrazione? e di riflesso anche negli obblighi di tutto il sistema di imprese che di quelle opportunità si avvale senza del pari mettere a profitto della società i grandi benefici delle innovazioni, certamente colti dalle stesse aziende con ricadute sulla loro gestione, ma non altrettanto dai destinatari dei diversi processi comunicativi ed amministrativi tradotti nelle applicazioni in rete?

Mi sono sempre confrontato con tanti e con tutti perché è un mio pallino (must) da sempre, e lo si capisce leggendo i due articoli allegati datati 2006, per arrivare alla conclusione che si parla di oggetti sconosciuti, di regole ignorate sottovalutate cui non si dedica tempo. 

Nei corsi universitari “nella nostra Unina” e nelle Università nostrane e anche di altri territori non c’è neppure tra le materie non obbligatorie un corso che faccia le pulci al tema del Codice digitale e dei riflessi che da esso si generano (2). 

Figuriamoci poi se nelle scuole superiori l’argomento rientra nell’educazione civica e in altri ambiti di formazione.

Per essere più concreti basterebbe citare tutti i grandi vantaggi derivanti dal rapporto con la salute e la sanità, settori che si muovono con anni di ritardo, per dare senso e conto delle considerazioni sopra enunziate.

Se non si stimolano interessi concreti, misurabili in termini economici, queste materie saranno “bei mondi per i soli addetti ai lavori”; le applicazioni che nascono, ne derivano, ricche di tante opportunità raggiungono solo in termini minimali gli utenti, veri destinatari del cambiamento, ma del pari generano solo sovraccosti che ricadono sulla società se essa non riesce a farne un uso generalizzato e consapevole. 

Nella consapevolezza oltre all’impiego ed alla padronanza della risorsa tecnologica c’è in primis un bisogno di tutela della posizione di cittadino primo destinatario di tutti i benefici potenziali: innumerevoli

In conclusione: tutto quello che di norma si fa, si realizza ha un valore funzionale stretto e diretto per chi crea e finisce per generare anche una soddisfazione ed autocompiacimento professionale, ma poco serve in concreto agli utilizzatori che semmai incontrano, in mancanza di supporto e sostegni, difficoltà che sgomentano.  

Anche i media, poi, che di norma si soffermano tanto sulla tecnologia, sulle grandi innovazioni dedicano poco o niente alla funzione educativa e di empowerment; pochi si fanno carico di far capire che il salto non deve essere solo tecnologico ma di cultura generale digitale da tradurre in interventi di profondo cambiamento del sistema formativo a vari livelli ( progettazione gerarchica) secondo linee generali e di articolazione specifiche; senza quei prerequisiti  la sola tecnologia serve a poco nella società  e quando diventa più elevata  genera complessità, non certo per le minoranze intelligenti, ma per la fascia media del tessuto sociale. 

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2 Nelle 24 pagine del corso di studi di Giurisprudenza di Unina si legge; a) sistemi di giustizia digitale nel corso di filosofia del diritto; b) logica ed informatica del diritto ( nel corso di filosofia del diritto );c) processo civile telematico ( nel corso su ordinamento giudiziario); d) diritto della informazione e della comunicazione ( nel corso di diritto sul patrimonio culturale);e) diritto sul lavoro digitale ( nel corso di diritto del lavoro ). Materie che non approfondiscono la soggettività del diritto che è delle persone e delle aziende.

Non è un caso per il nostro paese che le note statistiche Europee degli indici Desi introdotti dalla Commissione Europea nel 2014 per misurare i progressi dei paesi Europei in termini di digitalizzazione dell’economia e della società, al fine di far convergere tutti verso un mercato unico digitale, ci vedano occupare gli ultimi posti del ranking: nel 2021 quartultimi come popolazione nelle competenze digitali di base; le imprese offrono ai propri dipendenti una formazione in ambito ICT al 15,5% contro il 19,7 della media europea; il sistema universitario ha  ritardo nella quota di laureati in ICT etc. etc.

Leggermente migliorati i dati sull’impiego delle tecnologie (famiglie ed imprese) rispetto al passato ma pur sempre in una posizione da terzultimi nell’Europa a 27.

Insomma, un quadro sconcertante. I divari regionali fanno di peggio. 

Siamo una società che presenta criticità costitutive di base. Perché?

Nelle progettazioni dei grandi sistemi si individuano risorse, nella Pa come nelle grandi controparti e contropartite, destinate all’empowerment vero e proprio e soprattutto finalizzate a fare della società un mondo consapevole e capace di saper tradurre in benefici i suoi rapporti con Pa ed aziende, anche quelle private

Anche i progetti del PNRR delle tecnologie sono molto eloquenti al riguardo per capire il vulnus di paese. Non c’è mai una voce di costo, meglio di investimento, destinata alla bisogna.

I tanti sforzi e l’impegno professionale degli specialisti coinvolti potranno tutt’al più contare sul plauso e sul compiacimento dei colleghi omologhi, ma non potranno mai contare sull’apprezzamento della società che non riesce a percepire i grandi vantaggi, a valutare i salti epocali per sfruttare i quali occorre uno sforzo in più di tutti.

Si potrebbero fare esempi infiniti. 

Il tema giuridico è poi solo un pezzo della storia, del sistema più complessivo di quello che va sotto il nome di partecipazione dei cittadini e delle parti interessate soprattutto nella vita della pubblica amministrazione.  

Si calcola statisticamente che ogni cittadino o nucleo familiare ha ragioni di rapporti e relazioni con la Pa, con le grandi aziende, con la Sanità con un impiego del suo tempo in ragione del 25% 30% del suo tempo vita. 

Il tutto si traduce anche in aggravi di costi, mobilità, spostamenti, disagi e tante altre cose. 

Per migliorare il tutto mamma Europa ha aperto, non da ora, un capitolo di cui sembra che tutti si siano dimenticati

Elemento essenziale di un governo aperto è quello riconosciuto come tale dalle disposizioni 8 e 9 della raccomandazione dell’OCSE del Consiglio sull’amministrazione aperta (2017). 

L’open government è definito dall’OCSE come “una cultura di governance che promuove i principi di trasparenza, integrità, responsabilità e partecipazione delle parti interessate a sostegno della democrazia e della crescita inclusiva “. 

Il concetto si basa sull’idea che i cittadini e il pubblico dovrebbero essere messi in grado di vedere, comprendere, contribuire, monitorare e valutare le decisioni e le azioni pubbliche

L’open government aumenta la legittimità del processo decisionale pubblico ne migliora risultati, informando e coinvolgendo i cittadini – compresi quelli solitamente sottorappresentati – e rispondendo alle reali esigenze delle persone. 

A lungo termine, le riforme dell’open government contribuiscono a promuovere la fiducia nel governo e a rafforzare la democrazia. 

Le modalità e l’esercizio di questo modello non possono prescindere da una adeguata competenza e capacità d’uso degli strumenti apprestati che sono tanti, tantissimi, tutti a nostra disposizione sol che si abbia la competenza a saper usare, a saper cercare ed a saper interagire dopo aver letto.

Concludo perché poi la voglia e la passione e le letture fatte su questi argomenti, che non hanno alla base solo le tecnologie, ma argomentazioni fatte da idee, progetti, iniziative, testi che spingono sempre di più anche alla ricerca di nuove soluzioni tecnologiche, apre scenari di discussioni e confronti mi dicono, anche, che il mondo è prevalentemente sordo per questa tipologia di confronti che poco interessano perché riguardano la parte debole del paese-

Le ragioni tante ed occorrerebbe un tempo ed uno spazio enorme per parlarne.

Il modello ed il metodo sociale non dovrebbe pertanto focalizzarsi solo sulla  ricerca, sulle realizzazioni softwaristiche o ingegneristiche, tutte o quasi tutte capaci di raggiungere l’obiettivo per il quale vengono realizzate, ma anche su un impegno collettivo ed ampio con  attori e protagonisti che si fanno carico  di fasi di diffusione culturale organizzata, scalare e scalabile: scuole, università, contesti associativi, contesti di movimenti di idee che dovrebbero avere  l’obiettivo della trasformazione del cittadino da uomo pensante ordinario, a uomo pensante in chiave digitale (3).

Per dirla con il Professore Maurizio Ferraris che insegna Filosofia teoretica all’Università di Torino e che dirige l’Istituto di studi avanzati di scienze nuove dedicato ad Eco, che unisce Università e Politecnico di Torino, occorre prendere sempre più atto e consapevolezza che il mondo digitale non è altro dell’uomo ma che è l’ipostasi dell’uomo attuale, di quello moderno.

Non è una bestemmia ma solo un modo di prendere atto che l’automazione e tutti i suoi derivati, domotica, robotica, intelligenza artificiale, documentalità, medialità, web ed altro, sono l’essere umano di oggi.

Non ne possiamo e non ne potremo fare a meno e non possiamo non considerare che tutto ciò che serve per capire, imparare, tutelare, è ancora più essenziale di quanto non fosse cinquant’anni fa l’apprendimento della scrittura e della lettura

Sono cresciuti quindi anche i doveri di tutto lo spaccato della società ad ogni livello e per chiunque sia capace di trasferire queste sensibilità e gli stimoli connessi e abbia la possibilità di contribuire nel suo ruolo a far crescere tutti. 

In mancanza tra qualche anno potremmo trovarci di fronte a fratture e rotture insanabili (lo sono già oggi) che di certo non pacificheranno gli uomini ma faranno rivivere il detto hobbesiano dell’homo omini lupus.

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3  Autore del libro Documanità, filosofia del mondo nuovo