Aborto, diritto negato al tempo della pandemia

Chiusi i reparti, respinte le donne. Consultori fermi. L’emergenza epidemiologica che ha fermato il mondo ha paralizzato molti rami della sanità pubblica, uno su tutti il diritto delle donne ad abortire. In Italia al tempo della pandemia, abortire è diventato quasi impossibile, la crisi generata dal covid-19 ha mandato in frantumi la già fragilissima rete della legge 194 del 1978. Un effetto collaterale della pandemia. Gran parte dei reparti ospedalieri deputati all’interruzione volontaria di gravidanza sono stati rimodulati e destinati ai letti per malati di coronavirus. In molti ospedali, i pochi anestesisti non obiettori sono stati dirottati sulle terapie intensive, vietato dalle ordinanze spostarsi per cercare un’altra struttura, i consultori sono rimasti fermi: chiusi al ricevimento dell’utenza, mentre le donne in stato di gestazione sono rimaste sole e disperate, senza alcuna indicazione. Una tragedia nella tragedia. Una gravidanza indesiderata al tempo di una pandemia mondiale. Nonostante il Ministero della Salute abbia specificato che l’IVG rientri negli interventi indifferibili, molte strutture hanno equiparato gli aborti ad interventi di routine e fermato gli accessi. I racconti che si possono leggere in rete in molti forum femminili sono drammatici, raccontano di ansie ed angosce, di giorni in cui le donne sono state a telefono cercando risposte ed indicazioni, molte vicine anche al termine previsto. Qualcuna racconta di aver violato le ordinanze e di essersi recata di nascosto al Sud.

In Italia, l’aborto arrivò nel ’78, in contrasto al volere della Chiesa cattolica, che riconosce il diritto alla vita sin dalla procreazione, mentre, gioivano i movimenti femministi, per una conquista ed un diritto pienamente sancito. La norma prevede il diritto per la donna di interrompere volontariamente la gravidanza in una struttura pubblica entro i primi 90 giorni, se si tratta di un aborto terapeutico entro il secondo trimestre. Prevista una procedura, che prevede un colloquio, dopo il quale il medico rilascia un certificato con una pausa di riflessione per la donna di sette giorni, al fine di ponderare la sua decisione. Il certificato consentirà alle donne di potersi recare in ospedale o in una struttura convenzionata per praticare l’intervento.

In Italia soltanto il 64% degli ospedali ha reparti per la legge 194, con un’obiezione di coscienza – la possibilità per il medico di astenersi dal praticare l’intervento- che supera il 70%, specie nelle regione del Sud Italia. E’ bastato che alcuni ospedali chiudessero le porte alle pazienti, per mandare al collasso un sistema già fragile. A quarant’anni dalla sua approvazione l’epidemia covid-19, a cui si somma lo smantellamento dei centri IVG, minacciano la sopravvivenza stessa del diritto di una donna all’aborto sicuro, così come prevede la legge. In rete si legge disperazione e anche disinformazione in questo periodo di emergenza epidemiologica. Una piattaforma femminista di “Non una di meno” ribattezzata “Obiezione respinta” in questi giorni ha creato un canale Telegram e un numero dedicato proprio per questa emergenza. Le richieste sono triplicate. Ciò che affiora và oltre un’emergenza sanitaria, la 194 è sempre stata osteggiata, mostrando così una rete fragile che all’arrivo della pandemia si è mostrata ancora più disgregata ricadendo sulle donne che si sono viste spaesate e con un diritto negato. Così molte strutture sono state prese d’assalto, secondo quanto riporta “Repubblica” la clinica Sant’Anna di Caserta è passata in poche settimane da 120 a 160 aborti al mese. Segno che il sistema che assicura l’applicazione della legge 194 è ormai così depauperato che basta poco per mettere in crisi tutto e lasciare le donne sempre più sole. Lontano, osteggiato e ancora tanto discusso in Italia è l’aborto farmacologico, che in questo periodo molti medici però hanno richiesto, al fine di evitare gli accessi in ospedale delle donne, che riveste ancora un ruolo marginale. Di certo regna molta confusione che si ripercuote non senza conseguenze sulle donne che si ritrovano a fronteggiare psicologicamente una gravidanza indesiderata e una pandemia che limita gli accessi ospedalieri. Eppure, è un diritto poter decidere di abortire, un diritto che deve essere garantito tutelando la salute e anche l’aspetto psicologico delle donne. D’altra parte i consultori e gli ospedali italiani necessitano di un programma che consenta di monitorare la situazione e spiegare alle donne l’aborto oltre l’emergenza epidemiologica. Pensare all’aborto farmacologico, che potrebbe presentare sintomi e che non và sottovalutato, deve anche farci riflettere su quanto si sappia poco dell’aborto in generale e su quanto spesso le donne siano lasciate sole e disinformate. E se qualcosa questo periodo ci ha insegnato è nessuno deve essere lasciato solo.